Città americane a ferro e fuoco, morti e feriti, perfino la Casa Bianca sotto assedio. E a Pechino si fregano le mani. Quale migliore occasione, infatti, per restituire con gli interessi a Donald Trump la bordata anticinese sparata prendendo le parti di quanti a Hong Kong chiedono libertà? Così, in questo nuovo clima di guerra fredda tra l'Aquila e il Dragone, la macchina propagandistica del partito comunista non ha perso tempo per dettare la linea ai media nazionali: gli Stati Uniti stanno assaggiando la nostra stessa amara medicina e farebbero bene a imparare la lezione, non si può fomentare la piazza in casa d'altri e reprimerla in casa propria pretendendo di essere comunque dalla parte giusta della barricata.
«I politici statunitensi, che avevano definito le proteste di Hong Kong uno spettacolo bellissimo da vedere, naturalmente non si aspettavano che un simile spettacolo arrivasse così velocemente fin sotto le loro finestre», scrive il Global Times. E il China Daily incalza intimando agli americani di «mettere rapidamente da parte il sogno di interferire a Hong Kong per minare la prosperità della Cina», per poi piazzare il messaggio di chiara provenienza governativa: «I politici statunitensi dovrebbero fare il loro lavoro e aiutare a risolvere i problemi negli Stati Uniti, invece di creare nuovi problemi in altri Paesi».
É evidente che la decisione di Trump di togliere lo status speciale a Hong Kong, con le prevedibili gravi conseguenze economiche che questo comporta non solo per l'ex colonia britannica ma per la stessa Cina, rappresenta una sfida che Xi Jinping intende raccogliere. Il ministero degli Esteri di Pechino annuncia dunque «ferme contromisure» anche ad altre azioni ostili minacciate dalla Casa Bianca contro gli studenti cinesi negli States e le aziende cinesi quotate nelle Borse americane. L'azione propagandistica della Cina comunista continua inoltre a investire Washington anche per la decisione di Trump di ritirarsi dall'Organizzazione Mondiale della Sanità. Una scelta bollata come egoista e come prova di una politica «unilateralista e fondata sulla forza».
Ma Pechino sembra aver già imboccato anche la strada del conflitto commerciale. Secondo Bloomberg, il governo cinese ha dato indicazione alle principali aziende agricole statali (vengono citati colossi come Cofco e Sinograin) di bloccare gli acquisti di prodotti americani come i semi di soia e la carne di maiale, infliggendo così un colpo duro all'accordo commerciale a suo tempo firmato con gli Stati Uniti.
Tornando a questioni meno prosaiche, un segnale preoccupante arriva da Hong Kong. La polizia ha respinto, per la prima volta in trent'anni, la domanda da parte degli organizzatori dell'annuale veglia per ricordare le vittime del massacro di piazza Tienanmen avvenuto il 4 giugno 1989. La giustificazione ufficiale per il diniego, esposta in una lettera della polizia agli organizzatori, è di ordine sanitario: le regole di distanziamento sociale contro il coronavirus vietano le riunioni di oltre otto persone.
É però evidente che le autorità temono il verificarsi di manifestazioni ostili al governo di Pechino, e che intendono impedirle in coerenza con lo spirito delle annunciate nuove leggi «per la sicurezza». Il rischio di manifestazioni non autorizzate, e della loro inevitabile repressione, è più che mai reale.
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