A ll'Eurogruppo va in scena la capitolazione dell'Italia. L'invocazione alla solidarietà partita da Roma, con la richiesta di compiere un passo in direzione degli eurobond e di rottamare il Mes, è stata ieri lasciata cadere nel vuoto. Dopo aver alzato bandiera bianca mercoledì mattina dopo 16 ore di trattative inconcludenti, i ministri delle Finanze Ue hanno raggiunto un'intesa sulla base dei tre punti cardine su cui si articola la risposta europea alla bufera economica creata dalla pandemia: il fondo salva-Stati c'è, senza condizionalità ma con finanziamenti per le spese sanitarie; lo strumento contro la disoccupazione Sure pure, così come l'intervento della Bei.
Manca invece la parte relativa alla condivisione del debito, declinato nelle sue mutevoli forme (coronabond, eurobond, o Rfi), sostituita da un impegno generico, frutto del compromesso raggiunto da Germania e Francia, per la messa a punto in futuro di un fondo per la ripresa. Al momento un quadro con la sola cornice, non essendo neppure stati discussi i dettagli sui tempi del varo, sul capitale iniziale dello strumento e su come finanziarlo. Una semplice promessa, non inclusa infatti nelle conclusioni finali, che l'Eurogruppo ha rilanciato nel campo dei leader europei che torneranno a sedersi attorno al tavolo dopo Pasqua. Difficile pensare che in così pochi giorni si raggiunga una convergenza totale su un aspetto così controverso e osteggiata dai Paesi rigoristi. Ma il ministro delle Finanze Roberto Gualtieri esulta, come se avesse portato a casa una vittoria: «Messi sul tavolo i bond europei, tolte dal tavolo le condizionalità del Mes. Consegniamo al Consiglio Ue una proposta ambiziosa. Ci batteremo per realizzarla». Al tirar di somme, si tratta invece di un impianto emergenziale a tre «gambe», monco della quarta, del tutto deludente per ammontare (circa 500 miliardi, un terzo rispetto a quanto la Bce ritiene necessario per affrontare la crisi), ma che ha un fortissimo spessore dal punto di vista politico, segnando ancora una volta l'affermazione di un certo modello d'Europa che vede la Germania, e i suoi alleati, imporre regole ormai fuori dal tempo. Che le cose stessero prendendo una brutta piega ieri lo si era capito non tanto dal fatto che il ministro olandese delle Finanze, Wopke Hoekstra, si è presentato alla tele-conferenza forte di due risoluzioni del Parlamento all'insegna del rigorismo duro e puro (no agli eurobond e condizionalità rigide per l'utilizzo del Mes), ma dalle parole pronunciate da Angela Merkel durante una conferenza stampa pre-vertice. «Voi sapete che io non credo che si dovrebbe avere una garanzia comune dei debiti e perciò respingiamo gli eurobond. Ho parlato oggi (ieri, ndr) con il premier Giuseppe Conte a lungo e siamo d'accordo che c'è un urgente bisogno di solidarietà in Europa». Ma non al punto di far digerire a Berlino l'idea di emettere obbligazioni comunitarie e, quindi, di mutualizzare i debiti. La barra è rimasta sempre dritta sul fatto di non togliere dal tavolo il fondo salva-Stati, nonostante l'Italia e i Paesi mediterranei ne avessero chiesto la rimozione non accettando obblighi di bilancio più o meno light cui sottostare, cessata la tempesta. Roma ha finito per piegare la testa accettando l'accordo a trazione tedesca, senza neppure ottenere in cambio, nel comunicato finale, una menzione agli pseudo-eurobond.
Ora il governo dovrà spiegare dove verranno trovati i soldi che ci servono per non soccombere. Vanno giù duri Matteo Salvini («una Caporetto») e Giorgia Meloni («alto tradimento»). E il leghista preannuncia la mozione di sfiducia contro Gualtieri.
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