«Con orgoglio rappresenterò tutti gli operatori sanitari». Claudia Alivernini sembra piccola, piccola mentre parla davanti a uno degli edifici più belli dell'Istituto Nazionale di Malattie Infettive Lazzaro Spallanzani, la struttura romana in prima linea già nelle prime battute della guerra al Covid.
Sarà lei, insieme a un operatore sanitario, una ricercatrice e due medici a ricevere domenica mattina una delle prime dosi di vaccino destinate all'Italia e, in particolare, una delle 955 della fetta riservata al Lazio, già partite dalla sede belga della Pfizer, e pronte per essere stoccate proprio presso lo Spallanzani, da dove poi l'esercito le distribuirà alle altre regioni.
«Invito tutti a vaccinarsi - dichiara Claudia, un po' intimidita per tanto improvviso interesse per la sua persona - con amore dobbiamo farlo, nel rispetto delle tantissime persone che hanno perso la vita in questi mesi». Ventinove anni, capelli neri che le incorniciano il viso, bellissimo nonostante la mascherina, è tra le più giovani a ricevere il prodotto scudo nel Lazio.
Claudia si è laureata all'università Sapienza di Roma e lavora come infermiera allo Spallanzani, dove ha fatto anche un tirocinio nel passato. Lavora in un reparto di Malattie infettive. Ha dato la sua disponibilità anche per le Uscar e in queste vesti si è recata spesso al domicilio di malati. È diventata una sorta di angelo per molti anziani, che ora fannoil tifo per lei, e da mesi è in trincea in ospedale, riuscendo anche a trovare del tempo per frequentare un master in Infermieristica forense.
Ieri alla sua sinistra aveva il direttore sanitario Francesco Vaia quasi a rassicurarla e proteggerla. «Questa campagna vaccinale è l'inizio della rinascita - sottolinea Vaia - iniziamo a vedere uno spiraglio. È altissima la percentuale di adesione degli operatori sanitari dello Spallanzani che accettano di farsi vaccinare. Sottoporsi al vaccino è importante e volevamo presentare Claudia, sia per il lavoro che, fa sia perché è giovanissima e dare questa precedenza ha un altissimo valore simbolico».
Si riferisce, naturalmente, all'incessante contributo dato da medici e sanitari al contrasto al coronavirs. Mesi e mesi di dedizione verso i pazienti, annientati da questo mostro che solo ora si comincia davvero a contrastare ad armi pari. «Ricordo a tutti che non bisogna mai abbassare la guardia - conclude Vaia - solo con il vaccino si inizia ad intravedere la fine del tunnel. Ma siamo all'inizio».
Invece in Lombardia a offrire il braccio tra i primi sarà Adele Gelfo, 50 anni, operatrice sociosanitaria (Oss) in corsia all'ospedale Niguarda di Milano da quasi 30 anni. Ha vissuto la prima e la seconda ondata di Covid-19 dai reparti «trincea», la Terapia intensiva e sub-intensiva.
L'invito a partecipare al V-Day le è arrivato ieri dalla caposala. «Spero che il vaccino salvi tanta gente - sussurra - la cosa più brutta è sapere che una persona che fino al giorno prima dal casco Cpap ti saluta, ti dice grazie e come sei gentile non ce l'ha fatta».
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