Sulla legge Fornero «l'impegno è sacro: smontarla pezzetto per pezzetto a partire da quota 100». Il vicepremier Matteo Salvini ieri a Radio anch'io ha rassicurato la base leghista circa il mancato riferimento del presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, alla riforma pensionistica nella sua richiesta di fiducia al Senato (anche alla Camera il silenzio sulla materia è stato assordante).
Evidentemente non c'è bisogno di esprimersi sul capitolo previdenziale quando l'unica bussola è il contratto di governo. Le parole sarebbero superflue. E, in ogni caso, i due «dioscuri» del capo del governo sono sempre pronti a ricordargli quali siano le priorità. Come ha fatto l'altro vicepremier nonché ministro del Lavoro (dunque titolato a parlare), Luigi Di Maio. «Grazie all'aiuto alle imprese, ai pensionati sulle pensioni minime, grazie all'aiuto che forniremo a chi cerca lavoro soprattutto i giovani il nostro non sarà un governo che dirà di aver fatto bene in base agli indici», ha annunciato baldanzoso. Nella dichiarazione si coglie un accenno a un tema che finora non è stato toccato, ma che sicuramente (la bussola è il contratto) sarà affrontato: la pensione di cittadinanza, cioè un'integrazione delle pensioni minime sul modello del reddito di cittadinanza.
Ma qual è lo stato dell'arte? Nei quattro box in calce a questo articolo si cerca di analizzare lo scenario che si delinea. La riforma del governo gallo-verde dovrebbe all'incirca strutturarsi come segue: quota 100 con età minima di pensionamento di 64 anni e, quindi, 36 anni di contributi. Drastico taglio ai periodi di contribuzione figurativa e, soprattutto, a istituti più o meno nuovi come l'Ape sociale (inclusa quella destinata ai lavori gravosi) e il l'aumento delle quattordicesime. Chi andrà in pensione prima si potrebbe vedere il trattamento ricalcolato esclusivamente su base contributiva, mentre i pensionati «d'oro» (almeno 5mila euro netti mensili) vedranno l'assegno decurtato. Il progetto dovrebbe costare tra i 5 e gli 8 miliardi e non appesantire troppo il bilancio dello Stato. Lasciando, però, troppe persone con l'amaro in bocca.
Icastiche le parole dell'ex ministro del Lavoro, Cesare Damiano, piddino di sinistra, ma sempre in prima fila sulla «controriforma» della Fornero. «La proposta, partendo dai 64 anni, può essere insufficiente a risolvere i problemi di coloro che rientrano ancora nella categoria dei cosiddetti esodati: non a caso la nostra indicazione è quella di fare la nona e definitiva salvaguardia», ha dichiarato aggiungendo che «sarebbe un errore abrogare l'Ape social perché le 15 categorie di lavori gravosi verrebbero penalizzate».
Persino Elsa Fornero, oggetto degli strali dell'attuale maggioranza, abbia ironizzato sulla portata abbastanza ridotta della riforma rispetto al programma iniziale. L'estensore del programma della Lega, Alberto Brambilla, è stato sottosegretario nei governi Berlusconi dal 2001 al 2006 e sa che su questo tema non si scherza.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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