Raccomandazioni. Denigrazioni. Giochi di potere e di corrente. E una lista interminabile di 27 magistrati, tutti nel mirino del procuratore generale della Cassazione Giovanni Salvi. Il caso Palamara non finisce più, si allarga ogni giorno e mostra le miserie umane nascoste sotto la toga. Ora si conoscono i nomi. Fra i 27 incolpati molti nomi eccellenti: a 16 di loro è appena arrivata la contestazione, per gli altri 11 Salvi ha già chiesto il processo disciplinare.
Dalle chat e dalle intercettazioni emerge un vero e proprio sistema che coinvolgeva tutte le correnti e il Csm, punto di equilibrio delle nomine e delle guerre trasversali e sotterranee per le candidature.
Il Consiglio superiore è stato decimato dal disvelamento di questa realtà che peraltro nessuno ignorava. Fra i giudici spediti a difendersi davanti alla Disciplinare ci sono i partecipanti all'ormai leggendaria cena all'hotel Champagne e ad altri incontri in cui si discuteva di poltrone pesanti. Ecco, dunque, cinque consiglieri del Csm, poi costretti alle dimissioni: Corrado Cartoni, Paolo Criscuoli, Antonio Lepre, Luigi Spina e Gianluigi Morlini. Con loro, Cosimo Ferri, toga prestata alla politica e oggi deputato renziano, gran tessitore di trame insieme ai colleghi e all'ex ministro Luca Lotti.
Ma l'elenco è molto più lungo e comprende, fra gli altri, il pm di Roma Stefano Fava. Per lui due accuse particolarmente odiose: l'aver screditato il procuratore di Roma Giuseppe Pignatone e l'aggiunto Paolo Ielo con una nota inviata al Csm e all'onnipresente Palamara; ancora, l'aver anticipato a Palamara le mosse degli inquirenti: «Gli rivelava come fossero risaliti a lui, specificando che gli accertamenti erano partiti dalla carta di credito in uso» all'imprenditore Fabriizo Centofanti «e che le indagini si erano estese ai pernottamenti negli alberghi».
C'è poi Cesare Sirignano della Direzione nazionale antimafia: avrebbe brigato «per rendere inattendibili i preliminari atti di indagine già compiuti nei confronti di Palamara e per screditare e, eventualmente, sottoporre a indagini il procuratore Pignatone e l'aggiunto Ielo».
Fra complotti e veleni, Salvi, come anticipa l'Espresso, ricostruisce in questa tornata alcune vicende inedite, accendendo i riflettori su un grappolo di undici giudici.
Ci sono storie di ordinaria lottizzazione, come quella che ha per protagonista il pm di Bologna Roberto Ceroni: «Mirava a far conseguire la nomina di Gianluca Chiapponi, Stefano Brusati e Silvia Corinaldesi rispettivamente ai posti di procuratore di Forlì, presidente del tribunale di Piacenza e presidente del tribunale di Rimini, perché appartenenti alla loro comune corrente associativa».
A volte i magheggi erano un mix di elogi per i compagni di cordata e gossip calunniosi per gli avversari. Così Salvi punta il dito contro il presidente del tribunale di Brescia Vittorio Masia: avrebbe segnalato a Palamara nomi di colleghi della sua stessa corrente per posti chiave nel distretto di Brescia o in altri tribunali lombardi. Seguono nomi e cognomi, tutti parte di una catena di montaggio degli incarichi che, a quanto pare, non lasciava libero nemmeno uno spillo. Dunque, Masia si sarebbe speso per «far conseguire a Laura Giraldi la nomina a presidente di sezione del tribunale di Bergamo», e avrebbe spinto «verso incarichi semidirettivi Enrico Pavone e Silvio Bonfigli, denigrando al contempo Angelo Renna e Maria Cristina Rota». Ancora, avrebbe messo in cattiva luce Anna Di Martino che aspirava alla presidenza del tribunale di Cremona.
Intrecci obliqui e gomitate nello stomaco purtroppo erano all'ordine del giorno, tanto da far pensare che le manovre dietro le quinte, talvolta accompagnate da spintoni e sgambetti, fossero la norma. E Palamara solo uno dei vertici di un sistema ben più esteso che almeno in parte dev'essere ancora scoperchiato. Il presidente del tribunale di Firenze Marilena Rizzo, appartenente come Palamara alla corrente centrista di Unicost, «avrebbe interloquito con lui per dare il suo assenso su alcune nomine, muovendo le sue pedine alla conquista di posizioni di rilievo a Firenze, Pistoia, Livorno». Addirittura, il Csm diventava in questo risiko l'officina infernale di altre macchinazioni: Paolo Auriemma, procuratore a Viterbo, sarebbe arrivato a «interloquire con Palamara e a esprimere il proprio assenso o dissenso sulle pratiche del Csm in grado di avere ripercussioni sulla sua campagna elettorale» per il Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa. Insomma, Palazzo dei Marescialli sarebbe servito per vincere altre partite. Ma non solo: in un messaggio del 1 luglio 2018 Auriemma «segnalava a Palamara che suo cugino Gerardo Sabeone venisse proposto», addirittura all'unanimità, «presidente di sezione della corte di Cassazione (nomina poi avvenuta) onde evitare altre figuracce con i familiari». Piegando perfino i vertici della magistratura a vanità personali.
Si sarebbero invece dati da fare per accelerare la loro carriera due ex consiglieri del Csm: Massimo Forciniti, oggi pm a Crotone, e Claudio Maria Galoppi, ora consigliere giuridico della presidenza del Senato: con l'aiuto del solito Palamara avrebbero messo a punto un emendamento per cambiare la legge che impediva loro «di essere nominati ad un incarico direttivo prima del decorso di un anno dalla cessazione dalla carica di consigliere del Csm».
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