Ecco perché toccava al governo chiudere i Comuni flagellati dal Covid

I decreti (oltre alla Costituzione) assegnavano il potere allo Stato. E i ministri nelle interviste avvertivano: "Comandiamo noi"

Ecco perché toccava al governo chiudere i Comuni flagellati dal Covid

Toccava allo Stato, e non alla Regione, istituire le «zone rosse» per fermare il Covid. Era compito in prima battuta statale, non degli enti territoriali, introdurre misure capaci di circoscrivere o rallentare la diffusione del virus. È quanto emerge da una lettura delle norme e dalla ricostruzione delle concitate vicende che scossero l'Italia nei giorni in cui esplose il Covid.

Siamo al 21 di febbraio, la Lombardia si sveglia funestata dall'epidemia, ma il focolaio di Bergamo non emerge subito, non ufficialmente. La notizia della prima vittima accertata è del 24 febbraio. Il focolaio esplode nei giorni successivi e a fine mese si comincia a ragionare pubblicamente del possibile isolamento di questa seconda area critica dopo Lodi - la Val Seriana. Intorno al 10 marzo il dramma è conclamato. I giornali locali cominciano a riempirsi di necrologi e l'11 marzo sul Giornale le imprese funebri segnalano la carenza di camere mortuarie. La foto delle camionette dell'esercito che portano via le bare rappresenta il lutto collettivo di un Paese. Un lockdown tempestivo avrebbe almeno attenuato il dramma. Ma questa scelta, per la Regione, era nelle mani del governo, per ragioni giuridiche e istituzionali.

La sinistra, negli anni scorsi, ha molto insistito nell'addossare le responsabilità alla Regione - quindi al governatore Attilio Fontana. Lo ha fatto invocando una legge del 1978 su sanità e igiene pubblica, che prevede ordinanze ministeriali, e poi anche regionali e comunali. Sembra marginale. Gli interventi istituzionali, il quadro normativo e la successione degli eventi, secondo Palazzo Lombardia, fanno pensare che il potere di intervenire sia di Roma. In questo senso va soprattutto il primo decreto governativo, quello del 23 febbraio, che all'articolo 3 stabilisce formalmente che «le misure di contenimento» siano introdotte con decreti del presidente del Consiglio (i famosi Dpcm), sentiti ministri e Regioni interessate. Il comma successivo prevede sì che «nelle more» dei decreti presidenziali possano essere adottate misure simili anche in virtù di leggi ordinarie - come quella del '78 - ma il governo aveva adottato cinque decreti in 15 giorni, quindi non c'erano «more».

Palazzo Lombardia oggi cita anche la Costituzione, e a ragion veduta. In effetti l'articolo 117 riserva espressamente allo Stato una legislazione in via esclusiva «sulla profilassi internazionale» - questo lo ha evidenziato anche un giurista prestigioso come il professore Sabino Cassese. Ma si può citare anche l'articolo 120 della Costituzione, secondo il quale le Regioni non possono «limitare l'esercizio del diritto al lavoro in qualunque parte del territorio nazionale».

Ma nel 2020 sono gli stessi ministri a rivendicare il potere di decidere. Il titolare degli Affari regionali Francesco Boccia arroga al suo governo ogni prerogativa: «Decide il ministero della Salute e le Regioni si adeguano. Basta leggere la Costituzione». E nella solennità di una seduta della Camera avverte: «In caso di emergenza decide lo Stato, anzi se permettete comanda lo Stato». Non perde occasione per chiedere agli enti territoriali di raccordarsi «con l'autorità centrale», e il collega Roberto Speranza raccomanda di «non fare scelte unilaterali», mentre il premier Giuseppe Conte si dice «pronto a misure che contraggono le prerogative dei governatori».

Non a caso l'esecutivo impugna l'ordinanza con cui la Regione Marche ha chiuso le scuole, e un'ordinanza con cui il Viminale (l'8 marzo) da indicazioni ai prefetti sul decreto del giorno prima, ribadisce «l'esigenza che in ogni caso, e soprattutto in questo delicato momento, non vi siano sovrapposizioni di direttive aventi incidenza in materia di ordine e sicurezza pubblica, che rimangono di esclusiva competenza statale e che vengono adottate esclusivamente dalle autorità nazionale e provinciale di pubblica sicurezza».

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