Ecco il piano migranti Ue: rimpatri con gli hotspot

L'annuncio di von der Leyen. Il ruolo dei cosiddetti "return hubs", i Cpr fuori dall'Europa in cui trasferire i clandestini da espellere

Ecco il piano migranti Ue: rimpatri con gli hotspot
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«Rispetto dei diritti ma anche severità». È su questo doppio binario che l'Unione europea presenterà domani il nuovo Patto di migrazione e asilo. Sarà il giorno numero 100 del secondo mandato per la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen come da lei stesso sottolineato durante la conferenza stampa di ieri.

Il punto chiave del Patto saranno i rimpatri da hotspot extra Ue, formalizzati «con regole comuni più semplici» attraverso «il nuovo ordine di rimpatrio europeo», che passa dal «riconoscimento reciproco delle decisioni di rimpatrio da parte degli Stati membri». L'idea della gestione delle domande d'asilo e dei rimpatri fuori dal territorio europeo è un possibile deterrente per la migrazione irregolare che piace alla stessa von der Leyen e a molti Paesi membri (con qualche riserva da Spagna, Portogallo, Irlanda e Belgio) di cui si è discusso nell'incontro informale tra i ministri dell'Interno europei a Varsavia, come ha sottolineato il commissario Ue per gli Affari interni e la Migrazione, Magnus Brunner nella sua visita in Italia al premier Giorgia Meloni la scorsa settimana.

Ovviamente si tratta di rimandare indietro i richiedenti asilo provenienti da «Paesi sicuri» che non hanno diritto di soggiorno, dunque non appartengono alle categorie protette oggi tutelate. Sulla definizione di «sicuro» si pronuncerà prima dell'estate la Corte di Giustizia Ue, sollecitata dal governo dopo le pronunce di diversi tribunali italiani. La normativa Ue dovrebbe superare i distinguo della magistratura italiana più ideologica, dunque se un Paese è sicuro i rimpatri vanno effettuali con procedure accelerate. «Coloro che vengono rimpatriati forzatamente riceveranno un divieto di ingresso e saremo più severi laddove ci siano rischi per la sicurezza», assicura la von der Leyen, i cui esperti stanno lavorando a un protocollo «nel pieno rispetto dei nostri obblighi ai sensi del diritto internazionale e dei diritti fondamentali», anche per evitare il rischio che la giurisprudenza creativa italiana (vedi il risarcimento per i migranti clandestini trattenuti sulle navi) possa disinnescare l' effetto deterrenza.

I rimpatri dovranno essere accelerati, il più possibile immediati.

Oggi i Paesi membri riescono a trasferire circa il 20% delle persone che ricevono un ordine di allontanamento, anche perché poi molti clandestini che fanno ricorso scappano o diventano irreperibili. «Abbiamo bisogno di velocità e di determinazione, abbiamo un'occasione irripetibile per costruire un'Europa più forte, più prospera e più sicura. Quindi cogliamo l'attimo, perché è il momento dell'Europa». Un ruolo decisivo per i rimpatri arriverà non solo dagli hotspot extra Ue come l'Albania per trattare le domande d'asilo ma anche dai cosiddetti return hubs, ovvero Cpr dove accogliere temporaneamente le persone migranti che hanno un ordine di lasciare l'Ue o a cui è stata respinta la domanda d'accoglienza. Ma sui centri di accoglienza e detenzione fuori dal territorio dell'Ue sono già insorte le Ong che da un lato si battono per i corridoi umanitari «sicuri», dall'altro flirtano con gli scafisti per i salvataggi in mare. Il tema è la presunta violazione dei diritti dei migranti durante i trasferimenti e dentro i cosiddetti return hubs. Si tratta di garantire un «accordo giuridicamente vincolante» tra Ue e Paesi che ospitano gli hub, standard minimi per le condizioni e una reclusione che preveda il monitoraggio dei diritti umani in modo efficace e indipendente. Secondo L'Agenzia Ue per i diritti fondamentali, i centri per il rimpatrio sarebbero compatibili con il diritto Ue solo se accompagnati da «garanzie chiare e solide». Le riserve delle Ong sono state acquisite nella stesura del Patto migrazione e asilo: «Anche grazie alle loro intuizioni la nostra politica migratoria sarà equa ed efficace», aveva detto Brunner a fine gennaio.

Ma un conto è esternalizzare le procedure di rimpatrio, un altro il trattamento delle domande di asilo in un hot spot fuori dalla Ue.

L'Albania potrebbe diventare un return hubs? A questa ipotesi sta lavorando l'esecutivo, con non poche difficoltà legate alla firma del protocollo con Tirana, anche se tecnicamente dentro i due centri al porto di Shengjin e all'ex aeroporto militare di Gjader ci sono già due Cpr. Nelle prossime settimane il quadro normativo sarà più chiaro e a prova di ricorsi, forse anche per la magistratura più ideologica.

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