«C'è un'indebita messa in commercio in ospedali, farmacie, Protezione civile, ecc. di mascherine, igienizzanti e guanti che configura elementi seri di pericolo per la salute degli utilizzatori». Comincia così il dossier datato 6 aprile 2020 con cui l'intelligence delle Dogane aveva avvisato dei rischi che il governo dell'allora premier Giuseppe Conte stava correndo. Il documento che Il Giornale ha letto in esclusiva potrebbe essere cruciale per i pm che indagano sull'invasione di mascherine farlocche dalla Cina (frodando persino l'Iva), specie quelle con il visto dell'ex commissario straordinario Domenico Arcuri. Dispositivi strapagati ma inutili se non dannosi, dietro i quali si nasconde un vorticoso giro di tangenti che Guardia di Finanza, polizia e alcune procure stanno faticosamente cercando di ricostruire. Mentre la lista di fornitori «attendibili» stilata d'intesa con le ambasciate di Italia e Cina è stata totalmente disattesa. Palazzo Chigi sapeva dei magheggi intorno alle mascherine? Probabile, vista la decisione di Conte di mandare alcuni 007 a spulciare nei container. Ma allora perché milioni di mascherine farlocche sono state indossate da italiani ignari, convinti di essere protetti dal Covid e che invece sono stati incautamente esposti al contagio?
Per fare un paragone storico, i trafficanti di mascherine taroccate ricordano i famosi «pescecani di guerra», ovvero i fornitori di materiale bellico scadente che si sono arricchiti illecitamente ai danni dell'Erario, ben raccontati nel 2017 dal libro di Fabio Ecca Lucri di guerra. Perché chi poteva non ha fermato questo traffico? Soprattutto ciò che passava sulla scrivania di Arcuri? Non è un caso che i pm di Roma indaghino sul socio del premier Luca Di Donna, accusato di associazione a delinquere finalizzata al traffico di influenze. Per i pm fu lui ad aprire le porte del «sistema Italia» a imprenditori a caccia di agganci e commesse, per appalti poi interrotti dall'arrivo del commissario straordinario Francesco Paolo Figliuolo. «A me chiese una sorta di tangente», ha ammesso l'altro giorno su Report un imprenditore che si è rifiutato di trattare. E perché Conte non si fidava dei Nas che, secondo il dossier delle Dogane, avevano già individuato i traffici loschi? E perché su alcune forniture i controlli si sono interrotti? Già con il Cura Italia firmato Conte è stato consentito lo sdoganamento di materiale contraffatto e con autocertificazioni false attraverso il declassamento a «mascherine di comunità». «L'emergenza non giustifica forniture di prodotti scadenti accompagnati da certificati inesistenti e senza alcun valore», recita il documento ignorato.
Palazzo Chigi lo sapeva? E perché non ne è stato informato? Una leggerezza, che si aggiunge alla mancata applicazione del piano pandemico, sebbene non aggiornato, alle 17 tonnellate di Dpi regalate alla Cina mentre i medici della Bergamasca morivano per visitare i pazienti sepolti a casa dal Covid? O c'è dell'altro?
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