Ci sono due parole italiane intraducibili in altre lingue: ecomostro e abusivismo. Raccontano di due prerogative prettamente del Belpaese. Una vergogna? Sì, edilizia e sociale. Uno spreco? Enorme. Oltre al progetto fallimentare di Scampia, di cui resterà in piedi solo la Vela Celeste, totalmente da riqualificare, l'Italia è piena di mostruosità di cemento. Ponti, strade, dighe, palazzoni, più costosi da rimettere a posto che da abbattere. Frutto di appalti poco trasparenti, abusivismo sfacciato e fallimenti a metà lavori, sono uno spreco di denaro abnorme. Se mai si volessero completare queste opere, servirebbero 1,2 miliardi di euro. Esiste un'anagrafe delle opere incompiute stilata dal ministero delle Infrastrutture e costantemente aggiornata. Sono 373 al 31 dicembre 2022, quattro in meno rispetto al precedente rilevamento. Dal 2021 è stata inserita nella rilevazione l'informazione sulle cause che hanno determinato il mancato completamento delle opere. Risulta che, in 153 casi (40%) la mancanza di fondi è la causa dell'interruzione del processo di completamento dell'opera, in 115 casi (30%) si rilevano problemi tecnici, per 69 opere (18%) la causa è stata il fallimento, recesso o risoluzione contrattuale dell'impresa, 21 opere (6%) sono state interrotte per sopravvenute nuove norme tecniche o disposizioni di legge, per 15 opere (4%) si riscontra un mancato interesse al completamento, mentre per 6 opere (2%) concorrono più cause contemporaneamente. Ma oltre a questo, c'è un pregresso enorme di ecomostri: un cimitero edilizio che avrà pure fruttato l'interesse di qualcuno ma che ora rappresenta un'onta per l'Italia. Un esempio? La Città fantasma dello sport di Tor Vergata a Roma, costata finora ai cittadini oltre 607 milioni di euro. Ciò che resta del progetto è lo scheletro della Vela di Calatrava, un vero e proprio ecomostro che non fa altro che danneggiare l'immagine della città. Una possibilità di riqualificazione dell'area è rappresentata dal Giubileo 2025. La parola ecomostro nasce con l'Hotel Fuenti (demolito nel 1999), che sorgeva a Vietri sul Mare, sulla costiera amalfitana, arroccato su una scogliera di tufo a picco sul mare in cui sorgeva una cava di pietra calcarea. Viene usata anche per l'hotel Alimuri di Sorrento, costruito in una delle zone più belle della Campania, per Le Lavatrici del Prà a Genova, ora in parte riqualificate. E ancora: il promontorio Pizzo Sella (Palermo): 200 villette realizzate dalla mafia e lasciate lì, solo 14 sono state abbattute, le altre sono state abbellite dagli artisti. C'è la città dei balocchi di Consonno (Lecco), Lombardia, che se non altro ha un fascino decadente. Ma anche quando vengono abbattuti gli ecomostri, resta la scia giudiziaria dei ricorsi e delle proteste. È il caso di Punta Perotti, il gigante di cemento fatto esplodere nel 2006. A 11 anni di distanza dalla demolizione è arrivata una seconda sentenza con cui la Grande camera della Corte europea dei diritti dell'uomo ha di nuovo condannato lo Stato. E poi ci sono le opere mai finite: perfette sulla carta, magari finanziate ma lasciate a metà nella realtà. La società di ricerca Agici, in uno degli ultimi rapporti, ha calcolato che i costi del non-fare pesano come un macigno sulle chance di crescita dell'Italia, causando danni e mancati introiti anche al settore privato. Qualcosa come 606 miliardi di euro dal 2016 al 2030. Nell'elenco del non-fatto ci sono gli adeguamenti ambientali rimandati e investimenti «un po' sì e un po' no» sulla banda ultra larga, che rappresentano un costo di 370 miliardi in 15 anni. E poi ci sono anche i monumenti allo spreco, rimasti ad arrugginire per anni e imbrigliati in vicende giudiziarie, verifiche sui terreni fatte solo a posteriori. E così è stata rimossa l'Ovovia di Venezia montata sul Canal Grande.
Che, pur non essendo un'opera mastodontica, racconta una storia di sprechi e malagestione. E poi c'è il teatro di Sciacca (Agrigento), pronto dopo 40 anni ma ancora «chiuso temporaneamente». E una spoon river edilizia che pesa come una zavorra.
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