Emergenza in Sudan: via i cittadini Ue e Usa. La fuga dei 250 italiani

Connazionali rifugiati dall'ambasciatore. La Cnn: prove di aiuti Wagner ai paramilitari

Emergenza in Sudan: via i cittadini Ue e Usa. La fuga dei 250 italiani

Cibo e acqua scarseggiano a Khartoum, l'aeroporto è chiuso, un terzo degli ospedali non è operativo e cresce il rischio di epidemie. Colpa dei cadaveri abbandonati. Gli scontri in Sudan sono talmente intensi che «un gran numero» di corpi senza vita resta sul campo di battaglia. «Portarli via sarebbe troppo rischioso», spiega il ministro della Sanità, Ibrahim Haizam, mentre le autorità dei Paesi occidentali, Ue e Italia incluse, cercano di organizzare l'evacuazione dei loro cittadini.

Il Paese del nord est africano è martoriato da una settimana di combattimenti tra l'esercito sudanese e le Forze di supporto rapido (Rsf), la formazione paramilitare controllata dal vicepresidente del Consiglio di transizione Mohamed Hamdan Dagalo e composta da molti ex Janjaweed, quei «diavoli a cavallo» della milizia arabofona, responsabili del genocidio in Darfur, oggi aiutati dalla compagnia militare russa Wagner. Nonostante la smentita del fondatore Prighozin, secondo fonti diplomatiche sudanesi e regionali citate dalla Cnn, il gruppo dell'oligarca ha fornito missili terra-aria alle Rsf contro l'esercito e le immagini satellitari confermano attività più intense nelle sue basi.

Dal 15 aprile a oggi è una strage da 600 morti, anche se l'esercito ha annunciato una tregua di 3 giorni, con decorrenza immediata, per consentire ai sudanesi di celebrare l'Eid al-Fitr, la fine del Ramadan. Tra le vittime ci sono anche 4 operatori umanitari dell'Onu, l'ultimo ucciso ieri, quando il suo veicolo è stato colpito da un fuoco incrociato, oltre ai tre dipendenti del Wfp morti nel Nord Darfur. Ucciso anche un cittadino americano, che non lavorava per l'ambasciata Usa a Khartum.

L'Unione europea e 7 Stati membri con missioni in Sudan, tra cui Italia, Germania e Francia, stanno lavorando per coordinare una possibile evacuazione dei cittadini, ma la situazione è «ad alto rischio» e «la valutazione di chi opera sul campo, tra cui l'ambasciata Ue, è che non ci sono le condizioni di sicurezza per procedere» ora. Madrid annuncia di avere già aerei militari pronti per gli spagnoli. Ma finora le ambasciate di Stati Uniti, Regno Unito e Giappone non hanno potuto riportare i connazionali a casa. «Ogni attacco» alla diplomazia e ai cittadini americani verrà considerato «assolutamente inaccettabile», avverte la portavoce della Casa Bianca, Karine Jean-Pierre.

Il vice premier e ministro degli Esteri Antonio Tajani spiega che in Sudan ci sono attualmente circa 200-250 cittadini italiani e «un numero importante di nostri connazionali sono nella residenza dell'ambasciatore». «Stiamo monitorando la situazione attraverso l'unità di crisi e il nostro ambasciatore sta lavorando intensamente», ha aggiunto il ministro, spiegando che «è stata ricostruita una unità di lavoro presso la sua residenza». La Farnesina aggiunge che «c'è una rete di contatto che permette ai cittadini italiani in Sudan di essere raggiunti» e che «minuto per minuto la nostra unità di crisi segue gli sviluppi».

I feriti sono oltre 3.500. «La situazione è catastrofica, la maggior parte sono civili colpiti da proiettili vaganti e molti sono bambini», spiega Cyrus Paye, coordinatore dei progetti di Medici senza frontiere a El Fasher, Nord del Darfur. Il South Hospital, supportato da Msf, ha ricevuto 279 feriti.

«Hanno fratture, ferite da arma da fuoco o schegge nelle gambe, nell'addome o nel petto. Molti hanno bisogno di trasfusioni di sangue. Abbiamo dovuto curarli sul pavimento nei corridoi, on ci sono abbastanza letti per così tanti feriti».

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