È bastato un semplice post su Instagram condito da appena due parole per trasformare la supermodella Emily Ratajkowski da valletta del politicamente corretto a nemica giurata dei progressisti.
Quella che è a tutti gli effetti considerata una delle donne più ammirate, seguite e desiderate al mondo, ha dato alla luce tre settimane fa il suo primogenito: Sylvester Apollo Bear, che porta il cognome del compagno, il produttore cinematografico Sebastian Bear-McClard. Com'è ormai da prassi, la divina Emily ha deciso di condividere con i suoi follower un po' tutta la sua esperienza di maternità: dalla gestazione (con tanto di foto completamente nuda con pancione) ai primi momenti post-parto in compagnia del piccolo Sly. Uno di questi dolci ritratti, però, le sta causando una marea di attacchi pubblici.
La top-model, infatti, è un'icona progressista convinta (è elettrice di Bernie Sanders) e si era fatta da tempo promotrice di una lotta senza quartiere in favore della libertà di definizione dell'identità sessuale. Una battaglia culminata con una dichiarazione controversa dell'ottobre 2020 quando, intervistata da Vogue America proprio per via della gravidanza, disse: "Quando io e mio marito diciamo ai nostri amici che sono incinta, la loro prima domanda è quasi sempre: 'Sapete già se sarà maschio o femmina?'. Ci piace rispondere che non sapremo il sesso di nostro figlio fino a quando non avrà 18 anni: sarà lui o lei a farcelo sapere allora. A quel punto tutti ridono, ma questa battuta nasconde una verità importante: non abbiamo idea di chi – o di cosa – stia crescendo nella mia pancia".
"Cosa" le stesse crescendo nella pancia l'ha scoperto pochi mesi dopo: non già una creatura aliena, con somma sorpresa a quanto pare, ma un bambino in carne ed ossa. Il problema è appunto il "chi": un pargolo, maschietto.
Sembra assurdo che in tempi come questi si debba specificare l'ovvio, ma poiché il politicamente corretto è appunto una gabbia, alla luce delle sue dichiarazioni autunnali pro-gender Emily è finita sulla graticola per essersi macchiata, un paio di giorni fa, di due dei peccati più gravi secondo il Vangelo del politically correct:
Si è fatta ritrarre su Instagram mentre allatta al seno il figlio (censurare il "breastfeeding" in pubblico in quanto "inapprorpiato" è uno dei capisaldi dell'agenda politicamente corretta, come dimostra un popolare sondaggio molto in voga tra i liberal di mezzo mondo pubblicato su Debate.org) e, in una combinazione esplosiva, ha postato la didascalia "beautiful boy". Secondo il Tribunale civile del vivere moderno sui social sarebbe inaccettabile oggi scrivere boy, declinato al maschile, poiché fu lei stessa a dire che sarebbe stata la sua "creatura" a decidere, una volta maggiorenne, se definirsi "boy" o "girl" o "fluid" o "queer" o una qualsiasi delle altre categorie del mondo 2.0.
Così, in pochi secondi, addosso a Emily si è scagliata una tempesta di fuoco amico. Centinaia di migliaia di persone hanno iniziato a prenderla di mira in quanto "traditrice", poiché evidentemente ai tempo in cui parlava da Diva ignorava il potere di quella tempesta ormonale propriamente detta "istinto materno" capace di salvaguardare la specie dalla comparsa dell'Homo Sapiens.
Nel momento in cui anche lei deve aver percepito, come tante donne, la bellezza della semplicità di un gesto naturale, di una definizione naturale, di una interazione naturale tra madre e figlio, è stata costretta a pagarne il prezzo.
Un tributo di "pubblica gogna" che prima o poi deve versare chiunque decida di sposare i precetti di una narrazione dogmatica, ideologica e artificiosa salvo poi "disobbedire".
Persino le intoccabili superstar stanno imparando a comprendere che nella normalità, oggi, sta la vera ribellione.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.