Errori, gaffe, impreparazione Così nasce l'allarme banche

Il sistema italiano è diventato un caso europeo per la pessima comunicazione del governo e le troppe parole

Errori, gaffe, impreparazione Così nasce l'allarme banche

Quando, il 20 gennaio scorso, il titolo Monte dei Paschi valeva 0,51 euro, il presidente del consiglio Matteo Renzi, dichiarò: «A questi prezzi Mps è un affare». Ieri le azioni senesi hanno chiuso a 0,26. Chi quindi ha fiutato l'affare allora e ci ha investito, per dire, mille euro, oggi ne ha solo 510, smenandoci il 49 per cento. Ma questa non è che una delle tante inopportune dichiarazioni che abbiamo sentito dal governo in questi ultimi sette mesi sulle banche.

Una serie di prese di posizione e di mosse un po' goffe che, una dopo l'altra, ci hanno portato dove siamo ora: le nostre banche sono diventate il problema numero uno in Europa. Prima pagina fissa sul Financial Times, primo piano su tutte le pagine finanziarie. Sono, al momento, quello che era la Grecia un anno fa o lo spread nel 2011. Con una differenza però: dentro alle banche (e intorno a loro, come nel caso dei circa 25 miliardi di obbligazioni subordinate vendute al pubblico) ci sono i nostri risparmi. Come è possibile essere arrivati a questo punto? Non erano le banche italiane, mentre fallivano quelle islandesi, venivano salvate spagnole e portoghesi, aiutate francesi e tedesche, le più sane di tutti? Senza alcun rischio?

Tutto ha inizio domenica 22 novembre, sette mesi fa, quando il governo, con un decreto, e dunque con un atto politico, mette in «risoluzione» le banche di Etruria, Chieti, Marche e Ferrara. L'indomani 10.600 clienti di queste stesse banche che erano anche obbligazionisti subordinati hanno visto azzerato il loro capitale, per 330 milioni. Gli italiani lo hanno scoperto quasi per caso, il giorno dopo: il governo ha deciso senza né preparare l'opinione pubblica, né rendersi conto del boomerang che aveva lanciato, visto che ai vertici dell'Etruria sedeva il padre dell'effettivo numero due di questo esecutivo, il ministro Maria Elena Boschi.

Ma questo è nulla in confronto alla conseguenza finanziaria successiva: il salvataggio delle 4 banche implicava la determinazione di un prezzo per i crediti in sofferenza: erano stati valutati circa il 20% del loro valore di bilancio. E a questo multiplo tutti gli analisti e investitori si sono affrettati a calcolare il deficit di capitale delle altre banche italiane. Risultato: la Borsa di Milano, nei primi 40 giorni del 2016, è crollata del 30%.

A metterci una pezza ci ha provato il presidente della Bce, Mario Draghi - l'unico al mondo che può aiutare le nostre banche con la politica monetaria espansiva di Francoforte - che più volte ha buttato acqua sul fuoco. «Alle banche italiane - ha detto nel mezzo del caos del gennaio scorso - la Bce non farà richieste di nuovi capitali». Eppure, pochi giorni dopo, il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan interveniva a gamba tesa dichiarando che «la crisi delle banche italiane è colpa della vigilanza della Bce».

Si arriva in questo modo ai nostri giorni, quando approfittando degli sconquassi finanziari della Brexit, il premier prova un blitz per forzare la mano sia a Bruxelles sia Berlino e ottenere deroghe alla legge bancaria europea che permettano aiuti di Stato piuttosto che una moratoria sulle regole del bail in. Ma improvvidamente Renzi ne parla anche in pubblico il che, ammesso che la manovra potesse riuscire, rende vano ogni tentativo di cambiare le carte in tavola. Conseguenza: la banca più debole del sistema, Mps, precipita in Borsa ai minimi storici.

Ultimo caso quello di ieri, quando Palazzo Chigi ha dovuto smentire un attacco di Renzi a

Draghi, accusato quando era direttore generale del Tesoro nel governo Ciampi di non aver mosso un dito per risanare le Popolari. Riformate invece da Renzi lo scorso anno. Una ennesima polemica di cui non si sentiva la mancanza.

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