«Matteo Renzi e Carlo Calenda somigliano a quelle calamite che giocano ad attrarsi e a respingersi». La metafora di uno dei tanti sherpa che sta lavorando dietro le quinte all'accordo elettorale tra i due ex Pd spiega meglio di altre immagini la complessità di costruire un progetto politico con due personalità così profondamente pronunciate. «Non c'è una stanza abbastanza grande da contenere contemporaneamente l'ego di entrambi», ci dice la fonte, ma alla fine alle prossime Politiche la loro sarà una coppia di fatto. «Lo chiede la legge elettorale, che per una coalizione chiede una soglia improponibile al momento, il 10%. Soprattutto se confrontata con la soglia minima per avere diritto di tribuna in Parlamento, che per una lista scende al 3%», spiega l'esperto.
I due dicono di essere amici ma sono due pescatori che si contendono lo stesso stagno centrista, con le stesse esche elettorali, tra colpi di testa e colpi di tweet. Nel 2013 Renzi plaudì alla sua nomina a viceministro dello Sviluppo economico. «Abbiamo bisogno di persone che facciano politica bene come Calenda sicuramente sta facendo e farà per il futuro», disse da sindaco di Firenze nel 2013. Sarà Renzi da neo premier - dopo lo sfregio a Enrico Letta - a offrire a Calenda la stessa prestigiosa poltrona al ministero, che scalerà dopo l'addio di Federica Guidi.
Quando Renzi venne sfrattato da Palazzo Chigi dopo il flop al referendum Calenda restò allo Sviluppo ma fu uno dei primi a offrirgli una mano: «Credo che possa cambiare e lo farà, ha delle caratteristiche di leadership non comuni e noi ne abbiamo bisogna ma prima deve passare dall'io al noi». Amici sì, fedeli no: «Con Renzi ho avuto sempre un rapporto molto franco e diretto. E penso che questa sia la base per un rapporto di lealtà. Altra cosa è la fedeltà, ma quella si giura da ministro ai cittadini e alla Costituzione». A Renzi Calenda ha sempre rimproverato il limite del suo «caminettino con Luca Lotti e Maria Elena Boschi», e insieme intuirono che la stagione del Pd riformista che Renzi voleva era al capolinea. «Se il Pd continua con il cupio dissolvi, farò altro», disse Calenda nel 2018 quando Renzi fece capire che al Nazareno si sentiva un estraneo.
Il loro addio al Pd fu simile, anche se Calenda rimproverò a Renzi «l'indebolimento del governo», salvo poi definirlo uno dei tanti «riformisti rammolliti», che sta con M5s, ne vota i provvedimenti e poi dice che si è sbagliato. È più retorico di Giuseppe Conte, meno coerente di Clemente Mastella. Come un ottimo presidente del Consiglio si possa ridurre a questo non lo capirò mai...», disse all'indomani della mancata sfiducia di Iv all'allora Guardasigilli Alfonso Bonafede, escludendo «totalmente» un suo riavvicinamento al leader di Iv considerato «incomprensibile, scorretto, né lineare né trasparente», beccandosi da Renzi l'accusa di essere «vittima della sindrome del beneficiario rancoroso». Poi, complice la corsa di Calenda al Campidoglio, fu Renzi a fornire un endorsement molto gradito dal leader di Azione, che incassò un discreto successo: «Secondo me sarà la grande sorpresa, e sarà un bene per la Capitale». E così per mesi, fino a qualche giorno fa. Su tweet le accuse, su whatsapp gli smile e i complimenti, animati dall'idea comune di «abbandonare gli egoismi e costruire una casa comune che vada in doppia cifra».
Ma per quella c'è tempo, ora basta il 3%. Anche la querelle sulle firme è l'ennesima boutade elettorale di questa campagna degna di Zelig. «D'altronde, il tempo ci sarebbe. La legge prevede che se ne raccolgano 375 alla Camera e altrettante al Senato in ognuno dei collegi proporzionali. Firme perfettamente sovrapponibili per entrambi i rami del Parlamento, ora che il limite dell'elettorato attivo è sceso a 18 anni anche per Palazzo Madama. In più, siccome sono elezioni anticipate di più di sei mesi rispetto alla scadenza naturale, bastano meno di 200 firme a collegio. Non un'impresa titanica». Ci sarebbe anche il problemino della lista elettorale collegata.
«Già, in teoria le firme sostengono una lista di persone, il Viminale fa spallucce. E comunque siccome Renzi è in Parlamento il problema non si pone». Il matrimonio s'ha da fare, mancano solo le pubblicazioni e la lista (di nozze).
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