Fai da te, ansia e viti perse. Così Ikea ci è entrata in casa

Il colosso svedese, fondato dall'allora 17enne Kamprad, compie 80 anni: ha rivoluzionato il gusto e le nostre vite

Fai da te, ansia e viti perse. Così Ikea ci è entrata in casa
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Tanti auguri Ikea, che compie ottant'anni. Alla faccia degli schizzinosi che la nominano con disprezzo, la fantastica azienda svedese fondata nel 1943 da Ingvar Kamprad che ha rivoluzionato l'idea di arredamento. Nessuno non è stato da Ikea almeno una volta, senza contare chi ci va tutti i fine settimana.

Io mi ci sono fatto tutta la mia prima casa, e mi piaceva anche girare per i vari stand, è come andare in un openspace di case dentro altre case. L'idea di base è quella di offrire a chiunque bei mobili a prezzi bassi ma di alta qualità. L'unica cosa è che devi montarteli tu. Ma non necessariamente. Volendo te li montano anche loro, ma in genere chi va a Ikea vuole uscire con i suoi cartoni presi direttamente nel magazzino e divertirsi a veder prendere forma i suoi mobili, vite dopo vite.

Design di semplicità, praticità, spesso genialità. Tant'è che lo snobismo è passato di moda da anni. Oggi anche a casa di Giampiero Mughini o di Roberto D'Agostino, per dirne due che conosco, tra opere d'arte e mobili liberty e di alto design, ci trovi sempre qualcosa di Ikea, fosse anche solo un vaso da cinquanta euro che fa la sua figura.

Il cosiddetto Democratic design nasce negli anni Novanta, e deve averlo apprezzato molto Steve Jobs: niente è troppo vistoso, linee essenziali, un senso estetico tra Le Corbusier e Frank Lloyd Wright. Andare a Ikea mi è sempre sembrata una festa, trovi sempre qualcosa da prendere, e non è che una volta portati a casa gli acquisti non li usi, ti rendi conto che ti sono sempre serviti ma non lo sapevi.

E i nomi dei mobili, bellissimi: molti svedesi, molti altri inventati. A volte ti fanno diventare dislessico, proprio come lo era il fondatore, Kamprad, ma quando prendi il via te li ricordi. Ti serve un attaccapanni Kartonek, uno sgabello da bar Henriksdal, una scrivania Micke, le mitiche librerie Billy (a soli sessanta euro l'una, con circa trecento euro uno studente ci fa una parete, mentre le Lack bianche stanno bene in qualsiasi casa) e pensate, tra le migliaia di mobili e oggetti oggi c'è pure Säkerhet, una serratura speciale per chiudersi nell'armadio in caso di violenza domestica. È un'azienda che da decenni sta molto attenta ai mutamenti della società.

Andare a fare spese a Ikea fa sentire tutti a proprio agio: i bambini non vogliono mai uscire grazie agli appositi spazi, gli uomini trovano attrezzi di ogni tipo, le donne tutto per la cucina (o viceversa, lo scrivo prima che mi salti addosso una femminista per dirmi «eh? le donne devono stare in cucina?»), ma spesso i bambini vanno dietro ai genitori perché il labirinto delle varie sezioni è molto intrigante, gli stessi adulti tornano bambini seguendo le indicazioni stampate sul pavimento, non ti perdi mai, sebbene ti sembri tutto infinito.

Una filosofia attenta ai mutamenti della società occidentale, dicevo. Tant'è che per la giornata mondiale contro l'omofobia buste arcobaleno per tutti. D'altra parte l'inclusività è capitalista: se vuoi vendere, vuoi vendere a tutti. Così come se vuoi vendere, vuoi vendere a tanti, e quindi avere prodotti di qualità per ogni reddito. Tutto ecosostenibile, così sono contenti anche gli ambientalisti.

Gli amanti del bricolage impazziscono di piacere, chi lo odia impazzisce e basta, soprattutto quando le donne danno per scontato che il proprio marito debba essere disinvolto con cacciaviti e martelli di default. È il mio caso: pur amando i mobili Ikea, non sono capace di montarli, perdo le viti, li monto e alla fine mi rendo conto di aver sbagliato tutto. In compenso il filippino che lavorava per me (stavo per scrivere «il mio filippino», chi li sente poi i woke, anche se lo diciamo tutti, filippino da noi è un mestiere, e secondo me anche i filippini nelle Filippine hanno i filippini, o forse in futuro avranno gli italiani e diranno «il mio italiano mi ha montato il mobile Ikea», chissà), Kiko, non guardò neppure le istruzioni per mettermi su la sala e la cucina in mezza giornata.

Adesso è Maria Sole, la mia compagna, che monta tutto, dice che si rilassa, potrebbe fare dei corsi sul montaggio dei mobili Ikea. Io aspetto giocando alla Playstation ma alla fine mi chiama regolarmente per un problemino, una vite che non entra, e tac, quella, l'ultima vite la metto io. Senza di me non ce l'avrebbe mai fatta.

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