Non ci sta a vedere il nome del proprio figlio, morto schiantato contro un palo durante l'inseguimento dei carabinieri la notte del 24 novembre a Milano, sugli striscioni delle manifestazioni di Roma e Bologna culminate in scontri con la polizia, lanci di bombe carta e atti di mero vandalismo, Yehia Elgaml il padre (foto). Non è certo così che si può chiedere «giustizia per Ramy» o «inneggiare all'antirazzismo». Sono, infatti, otto gli agenti contusi in seguito alla guerriglia urbana scoppiata a San Lorenzo a Roma: uno in particolare è stato ferito al volto dall'esplosione di una bomba carta. Per Domenico Pianese, segretario generale del sindacato di polizia Coisp «l'uso di bombe carta, fumogeni e l'attacco deliberato alle camionette della polizia non è altro che una vile aggressione contro lo Stato e chi lo rappresenta». Ma tutto questo nulla ha a che fare con il profondo dolore che sta vivendo la famiglia di Ramy che attende l'esito delle indagini della Procura sui dettagli dell'inseguimento di quella notte, quando Ramy e il suo amico Fares alla guida del Tmax non si fermarono al posto di blocco, e soprattutto dopo i video e gli audio provenienti dall'interno della gazzella e dopo la presunta imposizione a un testimone di cancellare il video dello schianto da parte dei militari. «C'è qualche carabiniere sbagliato - dice Yehia Elgaml - ma gli altri sono bravi. Io ho fiducia nei carabinieri bravi, non in quelli sbagliati. Non fate casini contro la polizia - ha aggiunto -, perché la polizia difende la sicurezza in tutta Italia». Non è la prima volta che la famiglia di Ramy prende le distanze dagli atti di violenza e di vandalismo che da novembre si susseguono nel suo nome. La prima volta fu dopo le devastazioni del Corvetto, periferia popolare e difficile all'estremo sud est della città, dove viveva Ramy con la sua famiglia, del 25 e 26 novembre: in quell'occasione i genitori e la fidanzata di Ramy chiedendo agli amici di figlio e a chi era intervenuto in supporto di non compiere vandalismi e atti di violenza - una ragazza venne quasi investita - nel nome del figlio. «Siamo profondamente turbati nell'apprendere che il nome di Ramy venga utilizzato come pretesto per atti di violenza - la nota della famiglia di ieri -. Condanniamo fermamente ogni forma di violenza e vandalismo che si è verificata nelle manifestazioni delle scorse ore. Crediamo che il ricordo di Ramy debba essere un simbolo di unità, non di divisione o distruzione.
Ci dissociamo da qualsiasi utilizzo politico del nome di nostro figlio. Chiediamo a tutti di rispettare il nostro dolore e di unirsi a noi nella ricerca di un percorso che porti a una vera giustizia, senza odio, senza violenza e senza divisioni».
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