La farsa delle elezioni dei "Patrioti". E il popolo di Hong Kong diserta i seggi

Il voto per rinnovare il parlamento con i candidati imposti da Pechino. Affluenza mai così bassa: alle urne solo il 29%

La farsa delle elezioni dei "Patrioti". E il popolo di Hong Kong diserta i seggi

Il rinnovamento del parlamento di Hong Kong si è trasformato in una farsa senza precedenti. Solo il 29,4% degli aventi diritto si è presentato alle urne e la governatrice filo-cinese Carrie Lam è riuscita persino a negare l'evidenza, affermando che «i cittadini sono soddisfatti del governo e non hanno sentito la necessità di scegliere deputati diversi per controllare l'operato».

In realtà siamo di fronte all'ennesima messinscena perpetrata da Pechino nei confronti dell'ex colonia britannica. Xi Jinping ha voluto che il nuovo direttivo fosse occupato solo da rappresentanti «patriottici», fedeli al Partito comunista cinese. Le tensioni registrate negli ultimi tempi hanno scoraggiato quasi l'intero elettorato dal presentarsi ai seggi. Il clima era già teso da giorni, soprattutto dopo i mandati di arresto emessi contro otto attivisti pro-democrazia, alcuni riparati all'estero, ritenuti colpevoli di aver esortato gli elettori a boicottare le urne. Tra di loro c'è il tycoon dei media Jimmy Lai, che dovrà scontare altri 13 mesi di carcere, per «l'organizzazione, l'adesione o l'incitamento alla partecipazione» alla veglia del 2020 in ricordo delle vittime di Piazza Tienanmen, non autorizzata sulla base di motivi sanitari legati alla diffusione del Covid. Ma si tratta logicamente di una scusa per decapitare i vertici di quelle componenti politiche che non ci stanno a sottostare al diktat della Cina.

Il voto si è tenuto a più di un anno dal suo rinvio e dalla conseguente proroga dei legislatori in carica. Dopo il vaglio del Comitato per la sicurezza nazionale, solo 11 candidati sui 153 ammessi si sono dichiarati estranei al fronte filo-Pechino. Le urne si sono aperte alle 8.30 (1.30 in Italia) e chiuse 14 ore dopo. Ai seggi si sono presentate 1,3 milioni di persone (almeno questo il dato fornito dal governo, ma gli osservatori internazionali parlano di un milione scarso) dei circa 4,5 milioni aventi diritto. Un dato che la dice lunga su quanto la popolazione abbia fiducia sulla nuova legge di sicurezza nazionale che ha cancellato, a colpi di arresti, qualsiasi forma di dissenso nei confronti della centralità di Pechino. In base alla nuova legge elettorale, dove l'essenza della democrazia è finita in naftalina e le formazioni di opposizione costrette a muoversi in uno spazio sempre più limitato, solo 20 membri su 90 sono stati eletti attraverso il voto popolare. Dei rimanenti 70, 40 sono stati nominati dal Comitato elettorale filo-Pechino, ai quali se ne aggiungeranno 30 scelti tra i rappresentanti delle categorie professionali, legati a Pechino da tutta una serie di interessi economici.

La riforma è l'ennesimo attacco all'autonomia riconosciuta alla città fino al 2047, dopo il suo ritorno sotto la sovranità cinese nel 1997. La Hong Kong libera e democratica, che Pechino aveva promesso alla Gran Bretagna in base al principio "un Paese, due sistemi", forse domenica è definitivamente scomparsa. Il coraggio dell'astensione potrebbe infatti generare ulteriori problemi. La nuova legge sulla sicurezza infatti punisce, anche con il carcere, coloro che non forniranno una motivazione attendibile sul mancato esercizio di diritto al voto.

«Nonostante le onnipresenti pubblicità del governo, il sentimento elettorale nell'opinione pubblica non è mai stato così basso - ha twittato da Londra il leader in esilio della Rivoluzione degli Ombrelli Nathan Law - la gente non è andata a votare perché non riesce più a fingere che a Hong Kong sia tutto a posto».

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