Il fascismo non basta Il Pd rispolvera l'antiberlusconismo

Tentativo disperato per risvegliare la base I big del partito: "Il Cavaliere è il nemico"

Il fascismo non basta Il Pd rispolvera l'antiberlusconismo

Nell'ultima settimana prima del voto era inevitabile che - per delimitare il proprio campo e ricompattare la base più tradizionale - un po' di antiberlusconismo si riaffacciasse nella campagna elettorale del Pd.

Da Veltroni a Renzi, da Gentiloni a Franceschini, ieri tutti i leader in campo ne hanno fatto uso, sia pur in misura più moderata che nel passato in cui Bersani, dal tetto del Nazareno, proclamava di voler «smacchiare il Giaguaro».

Lo sfondamento al centro del Pd, sognato ai tempi del Patto del Nazareno, pare superato dai fatti, visto che Berlusconi presidia il suo elettorato e che Di Maio, in campagna elettorale, sembra un piccolo Antonio Gava. Né funziona l'unità delle sinistre in nome dell'antifascismo, pur mimata in piazza sabato a Roma, visto che un attimo dopo Grasso e Bersani tornano a confidare che per loro Hitler non era poi così male, in confronto a Renzi; mentre il Pd ripete che votare Bersani serve solo ad eleggere i salviniani. Soprattutto, c'è da convincere la base del centrosinistra, dopo mesi di chiacchiere su un futuro di larghe intese, che votare Pd non è inutile perché tanto, subito dopo, si farà un governo con Berlusconi. Anzi, quel governo non si farà e Berlusconi resta l'avversario da battere. E il voto del 4 marzo, come sottolinea Gentiloni, sarà «una scelta di campo».

Così il fondatore del Pd Walter Veltroni, che ieri è tornato in pubblico al fianco del premier a Roma, rispolvera lo slogan che fece scalpore nella sua campagna da candidato premier, nel 2008, e spiega: «Lo dissi anni fa e lo ripeto: Berlusconi è e resta il principale esponente dello schieramento a noi avverso». E nel dirlo sembra sbarrare il passo alle ipotesi di futuri governi di «larghe intese» con il centrodestra, perché in assenza di maggioranze chiare, dopo il 4 marzo, dice che è meglio limitarsi a «fare una legge elettorale con un premio di maggioranza al livello che la sentenza della Corte ha stabilito», cercando intese con gli altri partiti, per poi però tornare al voto. E incita a preservare l'identità di «sinistra» del Pd, che «deve essere ovunque si manifesti una ineguaglianza o un'ingiustizia, altrimenti lascia il campo alla destra».

Ma anche il solitamente morbido Paolo Gentiloni dà l'altolà, spiegando che «non possiamo fare larghe intese con estremisti e populisti: non farebbero bene a noi né al paese». In nessun altro paese europeo, aggiunge, «tranne in Austria, c'è stata una saldatura tra destra moderata ed estremista» come è successo tra Fi e Carroccio. E attacca: «Berlusconi usa ripetere che sarà lui il garante, ma i rapporti di forza con la Lega non sono paragonabili a quelli del passato. Nel 2008 lui prese il 37% e la Lega l'8%. Adesso la somma di leghisti e Fratelli d'Italia sembra superiore al partito di Berlusconi». Ancor più esplicito è il ministro Dario Franceschini, che accusa il Cavaliere di non aver «tracciato un solco invalicabile con la destra estrema», col risultato che ora «l'unico leader del centrodestra è Salvini, e non capisco come faccia un moderato a votarli».

Quanto a Matteo Renzi, che ieri ha percorso il Nord sotto la neve di Burian, tra Piemonte e Lombardia, non evoca le larghe intese, ma usa l'ironia per attaccare: «Berlusconi che

promette la flat tax è credibile come Babbo Natale. Con una differenza: Babbo Natale una volta l'anno arriva. La flat tax invece spunta ogni cinque anni, in campagna elettorale, e poi sparisce. Come i bonifici dei grillini».

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