«Come diceva un amico vescovo, la verità soffre ma non muore», che detto più prosaicamente significa un'amara soddisfazione per l'ex Guardasigilli Roberto Castelli: «Oggi sono venute alla luce del sole tutte le patologie della magistratura che noi come centrodestra abbiamo denunciato per anni, ottenendo in cambio di essere attaccati, ridicolizzati e dileggiati». Castelli ha guidato il ministero della Giustizia nei cinque anni del secondo governo Berlusconi, dal 2001 al 2006. Nello scandalo che travolge i vertici del Csm e nelle manovre di potere rivelate dalle telefonate di Palamara rivede un film già visto. «Già nel 2001 era chiaro l'assoluto e patologico dominio delle correnti nella magistratura, la politicizzazione di una parte di magistrati che usa l'enorme potere a sua disposizione come una clava politica. Noi lo sapevamo e lo denunciavamo, ma adesso è sotto gli occhi di tutti, almeno per chi lo vuole vedere. E mi sembra che molti non vogliano vedere, anzi tentino di coprire la verità».
Pensa che scandalo non stia avendo le conseguenze politiche che dovrebbe?
«Sono fatti di una gravità inaudita, c'è un magistrato che dice chiaramente che un leader politico (Salvini, ndr) va combattuto anche se ha ragione, solo perché è un nemico. Nella sostanza è un colpo di Stato. Dovrebbe esserci la gente in piazza. Invece vedo che i giornaloni ne parlano a mala pena, e anche il capo dello Stato non dice niente».
La stupisce il silenzio del Quirinale?
«Il presidente della Repubblica è il capo del Csm, questa non è una funzione formale. Cossiga mandò i carabinieri al Csm. La potestà di intervento del Quirinale c'è tutta. Certo, qui c'è un'inchiesta giudiziaria per cui capisco la prudenza di Mattarella, ma sullo scontro istituzionale altrettanto grave tra Bonafede e Di Matteo una parola dovrebbe dirla. Anche i presidenti di Camera e Senato dovrebbero tutelare il principio della separazione dei poteri e difendere gli eletti dagli attacchi politici della magistratura. Il governo, davanti all'evidenza che alcuni magistrati intervengono pesantemente nell'azione politica, non ha nulla da dire?».
Il Csm decide le carriere dei magistrati, ma è dilaniato dalle correnti.
«Noi provammo a riformare il sistema delle carriere per liberarlo dai giochi di potere del Csm, ma il governo Prodi smantellò la riforma. Nel 2002 Borrelli disse la famosa frase «resistere, resistere, resistere», perché secondo loro eravamo noi a minare le basi democratiche. Io quella frase me la ritrovavo scritto sui cartelli appesi agli alberi fuori da casa mia, in campagna. Questo per capire in che clima vivevamo. Adesso finalmente sta venendo fuori la verità sui chi minaccia le basi democratiche, su chi sono i lupi e chi gli agnelli: le vittime eravamo noi e i lupi gli altri».
L'azione della magistratura ha modificato la politica italiana?
«Ha cambiato la storia di questo paese, è innegabile. Dal '68 una parte delle toghe si è posta come obiettivo esplicito quello di realizzare il socialismo in Italia attraverso la magistratura.
Queste sono cose scritte negli atti e nei libri. Uno storico onesto dovrebbe rileggere la storia degli ultimi 30 anni in Italia alla luce di questo ruolo della magistratura. È un'operazione di verità che qualche storico onesto dovrà fare».
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