Fatto-Report-Dagospia: il triangolo del gossip che sogna le dimissioni

Le testate riprendono a vicenda i retroscena. Ranucci fa il martire in tv e va a caccia di nuovi padroni: in pole ci sono La7 e Discovery

Fatto-Report-Dagospia: il triangolo del gossip che sogna le dimissioni
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Fatto-Report-Dagospia. Eccolo, il triangolo delle Bermuda che vuole la testa del ministro della Cultura Alessandro Giuli. Sono giorni che si rimbalzano a vicenda le notizie sul famigerato servizio di Giorgio Mottola, che peraltro «nessuno in Rai avrebbe ancora visto», dice Sigfrido Ranucci a Un Giorno da Pecora su Rairadio1, dove è tornato dopo 48 ore a bullarsi dei presunti scoop con cui domenica punta a disarcionare il successore di Gennaro Sangiuliano («lui una mia fonte? Non è vero»). Si sa che riguarderà non solo l'affaire tra il suo ex capo di gabinetto dimissionario Francesco Spano e il di lui compagno Marco Carnabuci per gli incarichi al Maxxi in conflitto d'interessi ma anche un sedicente «nuovo caso Boccia al ministero» e il flop di Giuli da numero uno del Maxxi, ereditato da Giovanna Melandri.

Ovviamente il Fatto non vedeva l'ora di saltarci su, raccogliendo mezze verità e i soliti retroscena: «Giuli è sotto assedio: Fatemi fare il ministro Scontro con Fazzolari»; «Spano è un pederasta La chat di FdI anti-Giuli»; «Giuli e la deriva sinistrorsa (quando parla)» fino allo scoop di Report rilanciato in grande stile: «Report, alla Cultura 2 nuovi casi Boccia: a Chigi torna l'incubo». «I messaggi si rincorrono tra mille ipotesi e insinuazioni, e tutti a chiedersi: E ora a chi tocca? Sui siti impazza il toto-guaio: la tensione raggiunge i piani alti della Rai, tra email con richieste di spiegazione».

Voci, dicerie, annunci, gossip scandalistico e un po' voyeur che però «tira». Lo sa bene Dagospia, il sito di Roberto D'Agostino più compulsato da giornalisti e «addetti ai livori» che da molto tempo è in guerra con Giorgia Meloni (vai a capire perché...) visto che ogni giorno dedica alla vicenda svariati pezzi. Mercoledì ultimo lancio alle 19.52, appena prima dei tiggì. Il rotocalco di ieri è impressionante: 8.38 pezzo sul Domani e i soldi al Maxxi; 9.28 ritratto di Carnabuci, alias mr Spano; 9.39 ripresa di Repubblica che parla di dimissioni; 10.43 pizzino alla sorella di Giuli Antonella, giornalista dell'ufficio stampa della Camera; 13.02 rassegna stampa sullo scazzo; 13.28 il discorso sul «liquido amniotico» di Giuli; 13.33 pezzo sulla frase «l'apparenza inganna»; 14.00 altra supercazzola sul «liquido amniotico»; 14.49 ripresa dell'intervento di Ranucci alla radio Rai; 15.04 pezzo su Ranucci e il presunto flop di Giuli al Maxxi; 15.29 immancabile Dagoreport secondo cui «le notizie arrivano da Fdi»; 17.16 retroscena sul presunto diktat di Mantovano e Fazzolari; 17.54 ripresa del Foglio che «avverte la Ducetta»; 19.13 quello di Mantovano diventa un ultimatum; 20.10 riepilogo delle mascariate.

Intanto il conduttore di Report bighellona sui media per un po' di pubblicità, litiga con il renziano Ivan Scalfarotto che sul Giornale lo ha accusato di omofobia, a cui risponde con la solita eleganza romano-british: «Stronzate». Che Ranucci sia a dir poco risentito per la mancata collocazione al lunedì in prima serata lo sanno tutti, in Rai si sente malvisto anche se «gli avrebbero offerto la direzione del Tg3», dice l'informatissimo Marco Castoro. Secondo lui il programma su Rai3 «è trattato come un pacco postale», frasi che tradiscono la volontà di cedere alle lusinghe milionarie di La7 o di Discovery, pronta a una corte serrata perché l'informazione diventerà il nuovo core business. L'ultima comparsata di Ranucci da Lilli Gruber a 8 e mezzo non è andata giù a molti a Viale Mazzini («Un dipendente Rai non può rilasciare interviste, è stato autorizzato? Sicuro?», maligna qualcuno nei corridoi). La stessa Gruber con una battuta (ripresa da Dago) gli avrebbe di fatto offerto di passare a La7 e lui ci starebbe pensando. Ma prima meglio farsi cacciare. Si sa, la nomea di martire - stile Fabio Fazio - vale ben più di qualche spicciolo in più al tavolo delle trattative.

Nel frattempo la disinformacija a base di voci e pettegolezzi su Giuli prosegue, il verosimile si mescola al percepito e chissenefrega se è tutto vero o no. Per usare la frase che Plutarco attribuisce de relato ad Alessandro Magno alla fine menèi ulè diabolès, la cicatrice della calunnia resterà.

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