Il diritto di dire basta, non ce la faccio più. È di questo che stiamo parlando. Non puoi entrare negli occhi di un uomo che sceglie di morire. Qui la fede non conta. Il centro è il dolore, un dolore senza tregua, senza speranza, una tortura che non passa e non trova neppure più sollievo nel metadone o nella morfina e non smette. Basta dolore. Ecco, questo è un diritto inalienabile. Non si può sindacare. Non puoi dire resisti un altro po'. Non puoi stare li a disquisire sulla sacralità della vita. Non serve ricordare che l'esistenza è un dono e ti tocca sopportarla. Non puoi neppure tirare in ballo un Dio, perché se c'è in quel dolore senza fine la sola cosa che ti viene da chiedere è: Padre togli da me questo calice. Togli il dolore e la paura. Togli una vita che vita non è più. Portami in quella terra dove gli sfiniti trovano pace. La morte in questo caso è una scelta. È appunto il diritto di farla finita. È anche il diritto di chiedere aiuto. Sì, è una preghiera forte, che non lascia indifferenti, perché si sta chiedendo a qualcuno il favore di assisterti nel tuo suicidio. È l'aiuto più duro che si possa chiedere e lo fai solo in nome della misericordia umana. È una richiesta di pietas. Togli da me questo calice.
In Italia su questo c'è un vuoto normativo. Non è un diritto inventato sul nulla. È costituzionale. Non lo dice il Veneto. Non lo dice Zaia. È un diritto riconosciuto in Italia dalla Corte Costituzionale. È un diritto che arriva prima di una legge. È un diritto che scatta davanti a determinate condizioni. La preghiera di morire non vale sempre. Devi essere lucido e consapevole. La patologia è irreversibile. La tua vita è affidata per sempre alle macchine.
Il dolore è insopportabile e senza speranza. È per questo che l'ultimo punto è centrale. Non può essere nessun altro a dirti che devi sopportare al di là di qualsiasi resistenza umana. Non tocca a te, brav'uomo, giudicare il dolore del tuo prossimo.
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