Uno dei temi forti annunciati da Stefano Parisi è il «federalismo fiscale». Non si tratta di una proposta nuova, poiché nel dibattito politico italiano circola da almeno un quarto di secolo. È però vero che negli ultimi anni (a seguito del riposizionamento della Lega di Maroni e Salvini) si era smesso di parlarne. Reduce da una campagna elettorale su Milano, Parisi intende invece portare nuovamente i territori e le loro esigenze al centro della discussione, respingendo anche per questo motivo una riforma costituzionale quella predisposta da Renzi che vuole restituire a Roma alcune competenze in precedenza delegate alla periferia. È comunque importante aver chiaro che quando si parla di federalismo, specie in rapporto ai temi del fisco e della spesa pubblica, si evoca qualcosa che purtroppo in questi anni non abbiamo mai avuto.
Gli enti locali continuano a essere all'origine di sprechi e malaffare perché un federalismo degno di questo nome, da noi, non si sa cosa sia. E in effetti un ordine federale implica che ogni comune e ogni regione vivano di risorse proprie, e non già di «finanza derivata» (ossia di finanziamenti romani). Chi spende, prima deve incassare, e quindi nel momento in cui introduce un prelievo deve pure giustificarlo di fronte a quanti l'hanno eletto e dovranno confermargli (o negargli) la loro fiducia. Avvicinare gli oneri delle imposte e i benefici dei servizi è fondamentale se si vuole diminuire la tassazione su imprese e famiglie, migliorare il funzionamento degli apparati pubblici, ridurre le uscite.
Dirigersi verso un ordine federale porterebbe a responsabilizzare le amministrazioni locali, obbligandole a spendere solo quanto riscuotono con le tasse e costringendole a entrare in una sana competizione tra loro. In tal senso, federalismo significa trasparenza e responsabilità, ma soprattutto vuol dire concorrenza tra enti locali e lotta al parassitismo. Se Milano, Monza e Como avessero differenti prelievi tributari, sulla base delle loro esigenze e delle scelte politiche compiute dagli amministratori, aziende e individui tenderebbero a collocarsi dove il prelievo fiscale è minore e la qualità dei servizio è più alta. Emergerebbe una sorta di «mercato» tra municipi in grado di indurre tutti a operare al meglio e copiare le soluzioni più efficaci.
Grazie a un vero federalismo, inoltre, si porrebbe fine al doppio disastro connesso alla redistribuzione della ricchezza. In Italia, infatti, una parte del Paese è tartassata e vede sparire una quota rilevante delle proprie risorse (la Lombardia da sola perde ogni anno più di 50 miliardi), mentre l'altra parte gode di risorse non prodotte, ma di fatto è ostacolata nella crescita da una spesa pubblica abnorme e all'origine di tanta corruzione.
Come già si legge nel grande giurista romano Ulpiano, è difficile che ci sia giustizia se non si rispetta il precetto unicuique suum (si dia a ciascuno il suo). Questo vale tra le persone come tra i territori, e può arrecare grandi benefici a tutti.
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