È il capostipite dell'era degli influencer in politica. Federico Leonardo Lucia, in arte Fedez, il protogrillino antagonista che usa i social e il rap per arrivare a milioni giovani che i politici non sanno più raggiungere.
Cresciuto a pane e centri sociali come il Leoncavallo di Milano, Fedez è diventato in breve tempo il cantore numero 1 della fetta post-ideologica di millennias. La sua ascesa ebbe inizio nel 2014-15 quando la politica si accorse della necessità di iniziare a parlare meno il politichese e più la lingua dei ragazzi. Erano gli anni in cui Matteo Renzi si presentava col giubbotto di pelle ad "Amici di Maria De Filippi", e in cui Beppe Grillo iniziava a capitalizzare il suo odio per il Palazzo veicolato tramite il neo-linguaggio "aperto a tutti" della comicità. Se l'Elevato era il capopopolo giusto per trainare il pubblico adulto, la sua perfetta stampella per assoldare i giovani, invece, fu proprio Fedez, il rapper che iniziò a seguirlo prima da spettatore nei primi Vaffa-Day (era presente in piazza Cairoli nel settembre 2008) e poi lo aiutò a dipingere i contorni "di sinistra" del Movimento 5 Stelle. A cominciare dall'inno, "Non sono partito", scritto da Fedez e particolarmente osteggiato da quelli che all'epoca erano i nemici pubblici principali dei grillini: gli esponenti del Partito Democratico.
Quel testo, intriso di attacchi al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e alla "trattativa stato-mafia", venne impugnato proprio da alcuni onorevoli del Pd, che chiesero a Sky di cacciarlo da X-Factor. Ironia della sorte, oggi i dem parlano di tentativo di "censura" per via di un comizio di Fedez sulla tv di Stato, ieri provavano a far pressioni addirittura su un'emittente privata pur di farlo fuori.
Si deve a quei tempi anche l'inizio della faida con la Lega e con esponenti politici di centrodestra come Carlo Giovanardi, Maurizio Gasparri e ovviamente Matteo Salvini. Tutto previsto in un canovaccio meta-politico che serviva al M5S per studiare un'opposizione al Pd diversa da quella dei leghisti. A forza di studiare il giusto codice comunicativo per sostenere la battaglia contro la vecchia politica, Fedez è diventato più bravo dello stesso Grillo, ed ha iniziato a padroneggiare alla grande una sorta di populismo-rap attraverso cui ha vergato rime che a rileggerle oggi fanno davvero sorridere. Una su tutte: "Generazione televoto coi cervelli sotto vuoto / Sempre più risucchiati dal televuoto", è il ritornello della sua "Generazione-boh", anno del Signore 2014.
Sembra una vita fa visto che, complice la sua joint-venture amorosa/aziendale con Chiara Ferragni (a sua volta bersagliata in una sua canzone "Vorrei ma non posto" composta insieme a J-Ax poco prima dell'unione sentimentale iniziata nel 2016) la strategia comunicativa di Federico ha fatto un salto di qualità. Non più spot pubblicitari da vendere sui social per poche decine di migliaia di euro, bensì la costruzione di una megaindustria con un catalogo di prodotti da sfogliare: gadget, smalti, capi d'abbigliamento, format tv, podcast, talent show ma pure concetti e tesi politiche. Come fossero in fondo la stessa cosa, ossia una leva per aumentare la portata dell'"influenza". Su chi? Ma proprio su quella "generazione televoto" di giovani post-ideologici disorientati e disinteressati a qualsiasi cosa non si muova su Instagram.
Quando l'ex presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha chiamato alle armi Fedez e Chiara Ferragni nell'ottobre del 2020 per aiutarlo a far arrivare ai ragazzi le corrette istruzioni sulle norme anti-Covid, i Ferragnez non si sono più fermati. C'è anche da sottolineare, però, che sono stati capaci di tirare su su 4,4 milioni di euro per costruire una terapia intensiva e subintensiva del San Raffaele. Un grande gesto, sicuramente. Ma poco dopo, hanno iniziato a condurre stress-test continui sulla politica locale e nazionale. Sempre portando avanti battaglie gradite al mondo liberal e soprattutto facili da inculcare nella mente dei giovani "copiaincolla". Ne sono dei chiari esempi la crociata contro la Regione Lombardia sui vaccini e la presunta "corsia preferenziale" dedicata alla nonna di Fedez (quando in realtà al Pirellone stanno inanellando record su record nell'inoculazione di sieri, senza che i Ferragnez lo dicano), e soprattutto l'appoggio incondizionato al ddl Zan. Lo stesso onorevole dem, Alessandro Zan, primo firmatario della legge, è diventato a sua volta un personaggio pubblico grazie al suo nome spiattellato di fronte a milioni di persone (gli account social di Fedez e Chiara Ferragni messi insieme raggiungono 35 milioni di utenti) che altrimenti avrebbero ignorato la sua esistenza.
Cos'hanno in comune queste due crociate? Sono intrise di idealismo, presunta superiorità morale, senso di ingiustizia sociale, disuguaglianza. E soprattutto, hanno lo stesso bersaglio: la Lega e Matteo Salvini. A condire il tutto, per generare ancora più hype, l'asso nella manica narrativo che sui social va sempre per la maggiore: il vittimismo.
Il presunto tentativo di censura subito dalla Rai altro non è che un modo per manipolare ad arte gli avvenimenti e far passare Fedez automaticamente dalla parte del giusto, come un Giordano Bruno senza macchia e senza paura voglioso di scardinare un "sistema" retrogrado, bigotto, patriarcale. I leader politici più interessati al gioco delle parti, cioè i giallo-rossi, hanno preso le sue difese. Conte dice: "Io sto con Fedez. Nessuna censura". Letta addirittura ribalta completamente la realtà: "Per colpa di Salvini abbiamo passato 20 giorni a parlare solo della calendarizzazione del ddl Zan", scrive quando invece è stato proprio Fedez a monopolizzare l'agenda politica italiana con il dibattito intorno alla legge per spostare l'attenzione da tutto il resto.
Tralasciando il fatto che anziché lottare contro il "sistema" Fedez rappresenta il "sistema" (è inattaccabile dai media, è amico del politicamente corretto, è testimonial di colossi come Amazon e Nike), a riprova del fatto che il suo vittimismo si basi sulla cattiva fede, è arrivato il comunicato ufficiale della Rai, attraverso cui Ilaria Capitani, vicedirettrice di Rai3, ha diffuso la conversazione intercorsa col rapper senza tagli, e in passaggio dice chiaramente: "La Rai non ha proprio alcuna censura da fare. Nel senso che la Rai fa un acquisto di diritti e ripresa, quindi la Rai non è responsabile né della sua presenza, ci mancherebbe altro, né di quello che lei dirà - e infine - Ci tengo a sottolinearle che la Rai non ha assolutamente una censura, ok? Non è questo [?] Dopodiché io ritengo inopportuno il contesto, ma questa è una cosa sua".
Fedez usa i taglia e cuci, gli escamotage, i colpi di teatro nelle stories di Instagram per elevare la sua immagine, consapevole del fatto che il suo pubblico lo proteggerà, o semplicemente ignorerà le contraddizioni, l'ipocrisia, la partigianeria delle sue
istanze. Se il suo interesse fosse davvero il tema sociale, e non il potere persuasivo, se volesse davvero essere solidale con le vittime di violenza, come mai ha preferito il silenzio di tomba sul video del suo mentore Beppe Grillo?- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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