La Ferrari avvisa i sindacati: pronti a lasciare Maranello

Nel documento presentato per la quotazione a New York il Cavallino ipotizza un trasloco in caso di aumento dei salari e degli scioperi. La Fiom sulle barricate: "Non tutelano i diritti"

La Ferrari avvisa i sindacati: pronti a lasciare Maranello

Tempi duri per i sindacati, soprattutto per la Fiom Cgil che non nasconde la rabbia di fronte al documento presentato dalla Ferrari alla Sec (l'organo di Borsa americano) in vista dello sbarco a Wall Street. In poche parole, se in Italia i salari aumenteranno troppo o se ci saranno frequenti agitazioni sindacali, il Cavallino potrebbe essere costretto a spostare la produzione da Maranello e Modena in altri Paesi. Una doccia fredda e inaspettata. D'altronde, le aziende nostrane per competere sui mercati e attrarre investimenti hanno l'assoluta necessità di mantenere un elevato livello di efficienza e di risparmiarsi ulteriori ostacoli, come nuove tasse o oneri sociali o lacciuoli burocratici. Ma anche di non dover fermare o ritardare la produzione per rivendicazioni sindacali anacronistiche. I danni sono spesso incalcolabili, nel privato come nel pubblico, basti vedere che cosa è accaduto nei giorni scorsi a Pompei, con migliaia di turisti in fila e cancelli chiusi per un'assemblea dei lavoratori in piena stagione turistica.

Alla Ferrari, per fortuna, ha regnato finora un'apparente armonia. Rotta ieri da una nota della Fiom di Modena: «Ferrari tutela più gli investitori che i lavoratori, i dividendi più dei diritti – ha dichiarato il segretario generale Cesare Pizzolla -. Mettere sullo stesso piano i disastri naturali come terremoti, incendi, inondazioni, uragani, guerre, attacchi terroristici e pandemie alle agitazioni sindacali e all'aumento delle buste paga dei lavoratori conferma che la visione strategica di Marchionne non è quella di un industriale, ma piuttosto quella di un navigato finanziere».

Abbiamo letto il documento presentato da Fiat Chrysler e confermiamo che le calamità naturali, come le agitazioni sindacali e anche i possibili «cambiamenti nelle leggi e nei regolamenti su fisco, esportazioni, occupazione e inflazione salariale» tali da rendere anti economico produrre a Maranello e Modena, potrebbero spingere la Ferrari a «cercare luoghi di produzione alternativi». Naturalmente le carte inviate alla Sec, fondamentali per quotare il Cavallino, contengono anche altre informazioni indispensabili per gli investitori, come i risultati del team di Formula 1. «Il prestigio, l'identità e il fascino del marchio Ferrari – spiega il documento – dipendono dal continuo successo della squadra corse». Quindi i ricavi delle sponsorizzazioni e dei diritti tv potrebbero ridursi in caso di prestazioni non entusiasmanti. Insomma, Marchionne mette nero su bianco qual è la situazione e come potrebbe evolversi, sia in positivo sia in negativo. Niente di più.

«Quelle della Fiom sono preoccupazioni immotivate – afferma Claudio Mattiello, segretario generale della Fim Cisl di Modena -. Tutti, a parte la Fiom, hanno capito che le parole nel documento sono solo delle rassicurazioni per gli investitori, un atto dovuto. Qualsiasi azienda deve dare garanzie al mercato quando affronta un'Ipo». Mattiello non nasconde l'imbarazzo per i proclami della Fiom. «Sono sempre pronti a strumentalizzare ogni vicenda. Alla Ferrari non ci sono stati scioperi, né nostri né della Fiom, perciò l'azienda non ha alcuna preoccupazione». Negli impianti del Cavallino gli iscritti al sindacato sono circa 500, di cui solo un centinaio aderiscono alla Fiom. «Devono dimostrare che esistono – aggiunge il segretario Fim -. È solo un modo per salire alla ribalta prima delle ferie». Mattiello non crede sia possibile un trasferimento.

«La Ferrari perderebbe la sua identità, la sua specificità. La Fiom è ormai alla deriva. Il suo leader dovrebbe tornare sui tavoli negoziali e frequentare meno talk show. Lui e la sua organizzazione fanno più politica che sindacato».

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