Festeggiare il 1° maggio ha ancora un senso?

Cofferati: "Il lavoro ha un valore sociale che va al di là del singolo rapporto tra datore e dipendente e che va difeso anche dai giovani con nuove forme, magari". Damiano: "Il primo maggio ha senso oggi come simbolo, la prosecuzione di una battaglia per avere un lavoro regolato, con diritti e doveri"

Festeggiare il 1° maggio ha ancora un senso?

Si potrebbe ripetere per il primo maggio la vox populi “ienesca” che è stata fatta per il 25 aprile. Date talmente evocative che si è persa la memoria di ciò che dovrebbero ricordare. Chiedere ai “millenials”, come chiamano i nati dopo il 1980, cosa rappresenti il primo giorno del mese delle rose è una piccola avventura nel grande oblìo. Già sentire la risposta “festa dei lavoratori” è un miracolo. Perché oggi chi è nato nei mitici anni ’80 ha in testa il presidente dell’Inps Tito Boeri che gli ha annunciato che l’età della pensione (pensioncina, meglio) arriverà a 75 anni. Poi il jobs act gli ha detto che il lavoro non ha più unità di tempo, di luogo e di datore ma è un mosaico con molte tessere da mettere insieme per uno stipendio decente. Poi non esiste più una massa critica, dal momento che il lavoro è frantumato, parcellizzato, per cui ogni precario è tale per conto suo, non c’è un modo di essere precario che crei un’identità e similitudini tra persone diverse. Quindi oggi la parola lavoro non evoca un valore fondativo della società e dell’essere umano, ma semplicemente un tempo di vita. Che a volte non forma alcunché nemmeno professionalmente. Per molti forse “primo maggio” evoca il concertone organizzato dai sindacati, la mitica triplice CGIL-CISL-UIL, ieri di lavoratori metalmeccanici, tessili, chimici, pubblici dipendenti, oggi per lo più pensionati.

Ma il “concertone” di piazza San Giovanni a Roma resta forse uno degli ultimi appuntamenti collettivi di una società polverizzata dalle nuove tecnologie, che condivide solo ciò che vuole, con chi vuole e quando vuole. Il tema scelto per l’edizione di quest’anno è “Più Valore al Lavoro. Contrattazione, Occupazione, Pensioni”. Più che una speranza, una lapide in memoria dei tempi che furono. Oggi la contrattazione è sempre più individuale, l’occupazione ossigenata dagli sgravi fiscali e le pensioni allarmate dall’iperattivo presidente dell’Inps. L’ultimo primo maggio vero, in Italia, è stato a marzo. Il 23 marzo 2002, per la precisione. Sergio Cofferati, leader della Cgil, porta in piazza a Roma, al Circo Massimo, 3 milioni e mezzo di persone contro l’abolizione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, a tutela dei dipendenti dal licenziamento illegittimo. Una distesa di bandiere rosse che, più che l’allora governo Berlusconi, scosse la sinistra che infatti si premurò di narcotizzare politicamente il “cinese” Cofferati. Oggi che l’articolo 18 è stato abolito senza troppo clamore dal governo Renzi e che i sindacati sono soprattutto di pensionati, Sergio Cofferati torna con la memoria a quel giorno di sole di 14 anni fa: “Ricordo i colori di quella distesa di gente e il clima. Era netta la sensazione che tutti stessimo difendendo il valore del lavoro, non solo una norma di legge”. E oggi ai nati negli anni ’80 cosa dire sul primo maggio? “Che è più importante di prima”- dice Cofferati oggi ritiratosi dalla politica “il lavoro ha un valore sociale che va al di là del singolo rapporto tra datore e dipendente e che va difeso anche dai giovani con nuove forme, magari. Penso ad esempio alle possibilità offerte dalla rete. E il concertone di Roma resta utile alla causa”.

Cesare Damiano, giuslavorista e già ministro del lavoro, si rivolge idealmente al figlio degli anni ’80: “Partecipa anche con nuove organizzazioni che possano affrontare le sconvolgenti trasformazioni in atto. Affronta questa quarta rivoluzione industriale. Il primo maggio ha senso oggi come simbolo, la prosecuzione di una battaglia per avere un lavoro regolato, con diritti e doveri. Siamo passati dall’identità di classe all’individuo. Siamo molecole. Ma non si può accettare la giungla. Il giorno in cui il lavoro diventasse una merce, avremmo perso tutti”. Per la cronaca: il 1º maggio 1886, i sindacati organizzarono a Chicago uno sciopero per rivendicare la giornata lavorativa di otto ore. Il 4 maggio lo scoppio di una bomba durante una manifestazione in seguito a quell’agitazione provocò la morte di molti poliziotti e manifestanti.

L’11 novembre 1887 sempre a Chicago furono impiccati dodici uomini, sindacalisti e operai, che avevano organizzato lo sciopero del 1° maggio 1886. Si lavorava in condizioni precarie anche 16 ore al giorno, spesso sei o sette giorni alla settimana.

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