Fiocco azzurro a Montecitorio: è nato un nuovo gruppo parlamentare, quello di Liberi e Uguali. Il regolamento della Camera prevede che per formare un gruppo (e dunque avere uffici, generosi contributi annuali, personale eccetera) servano un minimo di venti deputati. La lista di Bersani, D'Alema e Boldrini, che il 4 marzo ha fatto il suo disastroso debutto elettorale, ne ha solo 14, ma ha chiesto la deroga per poterlo formare ugualmente. Il presidente grillino Roberto Fico ha dato il suo avallo, e ieri l'ufficio di presidenza della Camera ha votato all'unanimità per concedere la deroga. In casa Leu si celebra il lieto evento.
Per Fico si tratta di una vera e propria svolta. Solo qualche giorno fa, appena eletto, aveva annunciato con squilli di trombe che la sua priorità sarebbe stata quella di «tagliare sprechi e privilegi» del Palazzo, ora sotto la sua giurisdizione, e aveva fatto trapelare la sua ferma contrarietà alla costituzione di ulteriori gruppi privi dei requisiti numerici, proprio per evitare la moltiplicazione dei costi. Ma a quanto pare la real-politik ha subito prevalso: del resto, ai Cinque Stelle torna utile la formazione di un nuovo gruppo che sarà titolato a partecipare alle consultazioni e che perorerà la causa del «dialogo» a sinistra con loro, e quindi quella del governo Di Maio. Lo ha già fatto Pietro Grasso, salito al Colle col Gruppo Misto, lo faranno ora con maggior convinzione, tirando la giacchetta al Pd: «Deve uscire dal suo sterile arrocco e avviare il confronto programmatico con M5s», esegue subito la senatrice Leu De Petris.
Un equo do ut des, e pazienza per quelle «centinaia di migliaia di euro pubblici buttati nel cesso» che il medesimo Fico, nella scorsa legislatura, aveva denunciato con veemenza. Fu proprio l'attuale presidente, infatti, a scagliarsi nel 2013 contro la costituzione in deroga del gruppo di Fratelli d'Italia: «Una spesa inutile e assurda, degna della casta: lo abbiamo detto in tutti i modi in ufficio di presidenza, ma niente. Questi sono i nostri cari partiti responsabili», tuonò. Ora, a quanto pare, ha cambiato idea, e il taglio degli «sprechi» può attendere.
Oggi i Cinque Stelle dovranno anche decidere se dare i propri voti al Pd Francesco Boccia o al leghista Giancarlo Giorgetti come presidente della Commissione speciale di Montecitorio (chiamata ad esaminare il Def e i provvedimenti ancora aperti), che verrà istituita dall'aula e poi eleggerà il proprio presidente. Una scelta tutta politica, ovviamente. Boccia è uno dei più appassionati sostenitori, nel Pd, dell'intesa con i grillini, e la sua elezione verrebbe letta come uno sgarbo al centrodestra - che sostiene la candidatura di Giorgetti - e una apertura di credito verso i dem. I quali dem riuniscono stasera i loro gruppi parlamentari al Nazareno, per discutere la linea da tenere nel prossimo giro di consultazioni. Matteo Renzi - la cui partecipazione è ancora in forse - conta sul fatto che esca confermata la sua: nessuna apertura ai Cinque Stelle.
Lo ha ribadito il reggente Maurizio Martina, spiegando che il Pd non ha intenzione di essere «il piano B» di Di Maio, e anche Andrea Orlando ammette di aver «forti dubbi» sulla possibilità di intavolare trattative con il partito di Casaleggio: «Siamo troppo distanti, difficile pensare a forme di convergenza».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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