Fidel snobbato dai leader E Raul Castro si rifugia nella difesa del socialismo

Cerimonia di sepoltura dopo il viaggio per l'isola. Ma al Paese servono riforme e libertà

Fidel snobbato dai leader E Raul Castro si rifugia nella difesa del socialismo

Ieri Fidel Castro è stato consegnato definitivamente alla storia: dopo un simbolico viaggio a ritroso dall'Avana a Santiago de Cuba, da cui 57 anni fa era partita la revolucion, l'urna con le sue ceneri è stata chiusa in un loculo scavato in un cippo alto circa cinque metri nel cimitero di Santa Ifigenia, accanto al memoriale dell'eroe nazionale José Martì e a quello ai caduti del fallito assalto alla caserma della Moncada del 1953. Per volontà del Comandante, che sarà tradotta in legge, nessuna strada, piazza o parco gli potranno essere intestati, e nessun monumento con le sue sembianze dovrà essere eretto. Col rifiuto del culto della personalità, Fidel Castro marca la differenza da Che Guevara e Camillo Cienfuegos, gli altri due eroi della revolucion con cui i rapporti si erano via via guastati. A nessuno dei nostalgici potrà tuttavia essere impedito di battezzare il figlio Fidel.

Il lungo viaggio delle ceneri attraverso l'isola ha fornito una fotografia degli umori del Paese. Decine di migliaia di persone con una partecipazione crescente a mano a mano che procedeva verso la provincia dove la rivolta ha avuto inizio. Ma il lutto non era eguale: gli anziani, grati per i grandi progressi nel campo della sanità e dell'istruzione, piangevano a calde lacrime, mentre i più giovani, più preoccupati delle disastrose condizioni economiche, erano decisamente più freddi. La cerimonia di chiusura dei 9 giorni di lutto si è svolta in due tempi: venerdì sera Raul, l'85enne fratello e successore di Fidel, ha arringato un folla immensa in Piazza della Rivoluzione, giurando ancora una volta di portare avanti l'eredità del Comandante e di difendere la patria e il socialismo.

Ieri mattina poco dopo l'alba c'è stata invece, in forma privatissima, senza tv, la sepoltura alla presenza solo dei familiari, dei maggiorenti del regime e di alcuni leader stranieri. Ma proprio l'elenco di questi ultimi ha fornito la misura della decadenza del castrismo rispetto ai tempi eroici in cui il Comandante era l'idolo di buona parte dell'America latina e il glorioso avamposto del comunismo (e di riflesso dell'Urss) nel nuovo mondo. Le uniche personalità presenti erano i presidenti di Venezuela, Bolivia e Nicaragua, Maduro, Morales e Ortega, e gli ex presidenti di sinistra del Brasile Lula e Rousseff, caduti in disgrazia. Per un'Europa dove, in tempi neppur tanto lontani, Castro aveva milioni di ammiratori, l'unica personalità di spicco era Ségolène Royal, ministro francese dell'Ambiente.

Come c'era da aspettarsi, Raul Castro non ha detto nulla di nuovo sui futuri destini di Cuba, più che mai in bilico dopo l'elezione di un Trump che in un tweet ha sentenziato: «Se Cuba rifiuta di accettare condizioni migliori per il popolo cubano, per i cubano-americani e per gli Usa in generale, rescinderò gli accordi conclusi da Obama». Il neo presidente ha posto Raul davanti a un dilemma: o accelera il ritmo delle riforme promesse, nel campo del rispetto dei diritti umani (nel solo 2016 ci sono stati finora 9.125 fermi di oppositori), della liberalizzazione dell'economia e della libertà di espressione, o rischia una nuova rottura con l'America o almeno un rinvio alle Calende greche dell'agognata abolizione delle sanzioni economiche.

Che cosa farà ora che è finita la residua influenza di Fidel, contrario alla riconciliazione, è tutt'altro che chiaro. Con l'economia a pezzi dopo la fine degli aiuti venezuelani, non ha molta libertà di scelta.

Ma poiché il regime è ancora solido, cercherà probabilmente di barcamenarsi fino al 2018, quando scadrà il suo mandato, lasciando a una nuova generazione di dirigenti meno legati al mito della revolucion il compito di completare la ripresa dei rapporti con l'America e di attuare le vere riforme di cui l'isola ha disperato bisogno.

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