Finti rottamatori, autentici figli di papà

Erano partiti "Rottamatori", giovani, gagliardi e tosti

Finti rottamatori, autentici figli di papà

Erano partiti «Rottamatori», giovani, gagliardi e tosti. Determinati come nessuno. I volti nuovi della sinistra italiana (anche se qualcuno di loro era in politica da prima di Berlusconi). Erano la generazione Twitter e Playstation, tutta selfie e partito. Dovevano cambiare il Paese, le sue regole, i rituali, introdurre finalmente una ventata di freschezza nella noiosa gestione del potere. Alla fine si sono scoperti uguali a ciò che pretendevano di cambiare: i grandi rottamatori sono i soliti «figli di papà» della più banale e scontata tradizione italica. Il popolo della Leopolda ha fatto quadrato attorno al ministro Boschi; con tono biblico ha spiegato che «le colpe dei padri non devono ricadere sui figli»; è un'affermazione sacrosanta che fonda il principio civile che la responsabilità è sempre personale.Ma il problema è più complesso e attiene a questioni di opportunità politica e morale. Il ragionamento avrebbe senso se il papà di Maria Elena Boschi fosse stato un pizzaiolo di Livorno o un artigiano di Prato incappato in uno sbaglio, in un errore o in una colpa. Invece era il vicepresidente della banca più importante della provincia in cui la Boschi ha iniziato il suo percorso politico, dove è stata eletta, dove ha costruito il suo potere; corresponsabile del dissesto che ha travolto migliaia di risparmiatori. Non solo ma il signor Boschi aveva molte altre cariche: presidente di società agricole e cooperative, consigliere e vicepresidente in società importanti con ruoli strategici nel settore immobiliare. Tutto perfettamente coerente con il più collaudato sistema di potere clientelare di questo paese: quello della Toscana delle cooperative rosse, dei circoli Arci, delle parrocchie catto-comuniste, della massoneria illuminata, dei banchieri di famiglia e dei magistrati vicini di ombrellone.Quanto ha influito il ruolo del papà nell'ascesa politica di Maria Elena Boschi? Quanto ha influito nella costruzione del suo consenso, del suo potere e della sua rete d'interessi? Molto, forse tutto; ma proprio per questo il percorso e il destino di papà Boschi e di sua figlia non possono essere scissi. Troppo facile e troppo comodo.

Il caso Boschi (e lo spaventoso conflitto d'interessi a lei legato) è il punto di non ritorno del renzismo, l'inizio della fine di un incanto con cui è stato imbrogliato un Paese: quello di un'arroganza arrivata al potere senza legittimazione democratica ma attraverso una furbizia applicata ad ogni regola e che ha consentito ad un gruppo di poco più che trentenni senza cultura politica, spregiudicati perché cresciuti e protetti dentro il sistema dei loro padri, di giungere all'apice di una nazione con una facilità che ha banalizzato ai loro occhi la complessità del tempo che viviamo. Babbo Boschi (come babbo Renzi) svela l'imbroglio dei Matteo boys: più che «rottamatori» sono i soliti «figli di papà».@GiampaoloRossi

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