Finto moderato contro vero duro: povero Iran

Il duello Rouhani-Raisi non inganni, il regime islamico non ammette candidati fuori linea

Finto moderato contro vero duro: povero Iran

Le elezioni in Iran, che si terranno venerdì 19, sono uno spettacolo per il pubblico internazionale, un dibattito sui candidati che a Firenze si risolverebbe con la poco aristocratica formula «accidenti al meglio». Sono, insomma, uno di quei fraintendimenti per cui il mondo intero, invece di starsi a chiedere chi è il più «moderato» dei candidati è autorizzato a dubitare della democrazia nella sua massima espressione, «una testa, un voto». In ogni caso chi vincerà non dovrà contentarsi del potere legato al suo ruolo, ma sarà anche decisivo circa l'identità (e forse lui stesso il successore) del prossimo supremo leader, Ali Khamenei, che ha 77 anni.

Stavolta dopo una selezione preventiva che ha eliminato la clownesca ipotesi di rivedere al potere Ahmadinejad, due candidati occupano la scena sotto il manto nero di Khamenei. Lui, un maestro della politica dello Stato Islamico, capace di mandare avanti l'accordo con gli Usa e il resto del mondo mentre incita le folle in piazza a mantenere vivo lo slogan «morte all'America e a Israele» in vista di sfilate di missili balistici, sembra alla fine tenere per un candidato che la stampa internazionale individua come il peggiore: il durissimo ayatollah Ebrahim Raisi. Tenendosi sul vago, Khamenei ha anche detto che non gli piace chi lascia entrare la cultura occidentale in casa sciita, ovvero, così si è letto, Rouhani. Che in realtà usa con noi le buone maniere giocando come il gatto col topo. Una zampatina morbida e poi l'unghiata.

Raisi probabilmente non è più integralista dell'attuale presidente, ma almeno lui dichiara chiaramente le sue credenziali di duro e ne viene premiato. Fu membro del comitato che sorveglio l'esecuzione di migliaia di dissidenti nel 1988. È stato pupillo alla scuola teologica del supremo leader per 14 anni sin dall'inizio degli anni Novanta, l'indubbia fedeltà a Khamenei intanto gli ha fruttato la presidenza di una fondazione religiosa multimiliardaria, la Astan Qods Razavi. Ma la sua caratteristica fondamentale e politicamente, per lui, promettente è quella di essere il candidato preferito delle Guardie Rivoluzionarie e dei Basiji, la milizia che tiene l'Iran sotto il suo tallone, che ne controlla i cittadini uno a uno cosicché non deviino dalla santità loro richiesta, che schiaccia la piazza fino a uccidere (come fece con il famoso assassinio pubblico di Neda durante la rivolta contro Ahmadinejad), che organizza i migliori soldati per le campagne imperialiste di cui ormai l'Iran, a partire dalla Siria, è campione. L'Irgc è interessata alla presidenza, al suo potere, ai suoi interessi economici. Ma ancora di più secondo gli esperti al controllo del prossimo Supremo Leader eliminando tutti i personaggi, definiti «tecnocrati», che ne ostacolano il potere assoluto.

Hassan Rouhani, presidente da 4 anni, è l'altro grande polo del dibattito. I commentatori scrivono che con la Guardie Rivoluzionarie ha frequenti scontri a causa di interessi economici divergenti: e si tratta, per l'Irgc, di questioni miliardarie. Rouhani agli occhi dell'Occidente è un'icona moderata, proprio come lo fu Khatami che è stato presidente battendo il record dell'eliminazione fisica degli intellettuali, arresti di massa, supporto del terrorismo internazionale, espansione del progetto nucleare. Rouhani, con quel sorriso da volpe innamorata, andò al potere avendo sulla testa la mano di Obama: ma ha avuto, come scrive l'intellettuale dissidente Amir Taheri, il primato assoluto in esecuzioni e reclusioni, in sostegno del terrorismo internazionale, esportazione di uomini armati e armi per disegni imperialisti in Medio Oriente.

Non serve fantasticare sulla «moderazione» del prossimo presidente iraniano: l'unica

speranza è che l'affluenza sia così bassa (e lo fu alle ultime elezioni) da certificare davanti al mondo il desiderio del popolo di voltar pagina, e indurre un cambiamento. Ma le Guardie Rivoluzionarie sono là per questo.

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