Rileggere tutto Bertarelli, il re dei cine-sconsigli

In un volume le migliori recensioni del critico cinematografico più amato dai nostri lettori

Rileggere tutto Bertarelli, il re dei cine-sconsigli

Guardare un film in anteprima, seduti accanto a Massimo Bertarelli, è una di quelle esperienze che, nella vita, prima o poi, vanno fatte. Praticamente, partono i titoli di testa e senti subito il clic della sua storica penna con lucina incorporata. Il che, è anche il segnale che Massimo ha già colto subito una particolarità che a te è sfuggita e che lui si è premurato di segnare. Perché lui annota tutto, come uno scrupoloso ragioniere dello «sconsiglio».

Finisce la pellicola e Bertarelli ti dice, in un amen, quante parolacce con la doppia zeta siano state pronunciate, quante persone abbia ucciso Jason Statham nell'ennesimo film d'azione, quanti congiuntivi siano stati sbagliati. Inutile, poi, sforzarsi di capire se a lui il lungometraggio stia piacendo. Provate a immaginare Nicolas Cage e l'unica espressione con la quale recita in ogni titolo che lo vede protagonista; ecco, il viso di Bertarelli, quando si spengono le luci, diventa come una maschera. Non cambia mai espressione (avete presente le sue apparizioni da Marzullo a Cinematografo?), tanto che puntare sul fatto che gli stia piacendo o meno quello che passa sul grande schermo è più difficile che scommettere su una multipla di venti partite. Quando le luci in sala si riaccendono, timidamente gli chiedo «Max ti è piaciuto?» e lui, senza mezzi termini, seleziona la modalità sconsiglio «merita zero» o quella del consiglio «ho riso tanto». E fa niente se voi non vi siate accorti di tutte quelle risate, perché i veri critici, come Bertarelli, interiorizzano le emozioni facendole poi esondare nei loro sublimi pezzi. E quelli di Bertarelli lo sono. Una sua recensione, di poche righe, è più efficace di una vignetta satirica. È il Forattini del cinema scritto, capace, con una sola frase, spesso ironica, di riassumere meravigliosamente il senso del film. Quello che vi consiglio di acquistare, e non solo se siete amanti del cinema, non è, perciò, un semplice libretto con il meglio (si fa per dire, perché ci sarebbe voluta un'enciclopedia) del «peggio» che Bertarelli ha visto al cinema. È un libro di antologia, uno scritto satirico alla Guareschi, un ritratto, indiretto, dei tanti vizi e difetti che affliggono la settima arte. Bertarelli è veramente uno che scrive per la gente. A differenza di tanti critici che usano i giornali come palestra di scrittura e specchio della propria vanità, a Massimo interessa solo far capire al lettore se valga o meno la pena sborsare i soldi del biglietto. Lui, che conosce la grammatica come pochi, non ha bisogno di cervellotiche elucubrazioni per dire se un film sia bello o, il più delle volte, meno. Gli basta poco. Qualche esempio? Femme Fatale: «Sensazionale, per la stupidità dell'intreccio e la faccia tosta dell'autore, thriller erotico-psicologico del diabolico, e recidivo, venditore di fumo Brian De Palma, che fa ripetutamente il verso a mastro Hitchcock. La chilometrica scena d'amore lesbico è così finta da far scompisciare anche i guardoni». Mangia Prega Ama: «Al titolo manca di certo un quarto verbo: sbadiglia». This Must Be The Place: «Sean Penn? Con quella lunghissima chioma nera sembra il cugino scemo di Luxuria. This Must Be the Pacco». Melancholia: «Estenuante apologo del profeta di sventure Lars von Trier, nuovo alfiere dell'incomunicabilità, che racconta una doppia storia d'infelicità. Scene da un manicomio, per dirla col maestro Bergman. Indimenticabile la gara con i fagioli in un vaso: vince chi indovina il numero esatto. Ridateci la Carrà». C'era una volta in Anatolia: «Interminabile, lento e barbosissimo dramma turco, che come tutte le boiate d'autore è piaciuto da matti ai giurati del Festival di Cannes del 2011, tanto da vincere il Grand Prix. Peccato che il pubblico pagante non abbia il loro indirizzo: così le botte che prende il depresso assassino andrebbero meglio distribuite». The Master: «Sfibrante dramma del trombone Paul Thomas Anderson, pompato abbagliatore dei gonzi a suon di fumisterie e chiacchiere. Ne sono instancabili portavoce Joaquin Phoenix e Philip Seymour Hoffman, Coppa Volpi ex aequo a Venezia 2012. Forse i giurati, in coma, non li distinguevano più».

Impossibile non ridere dei suoi «sconsigli», marchio di fabbrica di Bertarelli, temuti da produttori, registi, attori e uffici stampa. Facendo inalberare anche i suoi colleghi radical chic, che, di solito, in modo snob, lo liquidano con supponenza: «Vabbè, è Bertarelli». Poco importa, però, quello che pensano gli altri. I nostri lettori, da tanti anni, sul Giornale, uno come Massimo Bertarelli se lo tengono stretto. Lo amano, lo seguono, gli scrivono, ne sono amici.

E a chi, come me, ha la fortuna di lavorare accanto a lui, non resta che fare tesoro della sua arte, sapendo che, comunque, non riuscirà mai a imitarlo. Perché sono in pochi i giornalisti che possono vantare a pieno titolo di essere firme «Fuori dal coro». Bertarelli è tra questi. A furia di «sconsigli».

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