La telefonata di venerdì mattina tra il presidente di Forza Italia, Silvio Berlusconi, e il presidente del Consiglio, Mario Draghi, può rappresentare un buon viatico per una riforma fiscale che non si accanisca contro un ceto medio messo a dura prova, oltreché dalla crisi, anche da una pressione fiscale troppo elevata che sopra i 50mila euro lordi di reddito annuo viaggia attorno al 32-33 per cento.
Assodato che la riforma degli estimi catastali non dovrebbe comportare un aggravio sull'Imu (garanzia sulla quale Forza Italia si è impegnata), sarà il ridisegno dell'Irpef a essere dirimente. La delega, infatti, si basa su tre capisaldi che, teoricamente, potrebbero essere conflittuali tra loro. Il primo è la diminuzione delle aliquote medie effettive, il secondo è la riduzione delle variazioni eccessive delle aliquote marginali (il famoso salto dal 27 al 38% sopra i 28mila euro lordi di redditi) e il terzo il riordino di deduzioni e detrazioni. I primi due punti, soprattutto, richiedono un notevole impegno per essere soddisfatti entrambi. Toccare l'aliquota del 38%, infatti, non garantisce un abbassamento dell'aliquota media per i redditi medio-bassi che è modesta (attorno al 7-8%) solo per i lavoratori dipendenti che godono del bonus Renzi. Con questa maggioranza composita è difficile realizzare il progetto di Forza Italia che prevede un regime di flat tax e una no tax area fino a 12mila euro con sistema dell'imposta negativa (sotto la soglia minima di reddito lo Stato restituisce soldi anziché prenderli, ndr). È probabile, dunque, che l'azione politica si concentri su un intervento teso a rimodulare le prime tre aliquote Irpef (23, 27 e 38%) per coniugare entrambe le istanze, rivedendo di conseguenza deduzioni e detrazioni. Le attuali formulazioni di assegno unico per i figli, bonus Renzi e taglio del cuneo fiscale (molto friendly verso i redditi bassi) potrebbero, però, prevedere una clausola di salvaguardia per i redditi medio-alti.
Oltre al catasto, il centrodestra e Forza Italia dovranno concentrarsi anche sulla unificazione delle aliquote per gli investimenti in conto capitale (titoli e immobili). La proposta di riforma più gettonata punta a un'aliquota unica del 23% (primo scaglione Irpef) che gioverebbe a chi punta su azioni e obbligazioni ma nuocerebbe a chi usufruisce della cedolare secca del 21% sugli affitti residenziali. Anche in questo caso ci sarà da lavorare.
Ultimo ma non meno importante il discorso sulla revisione delle imposte sulle imprese. La delega fiscale prevede il superamento dell'Irap con la sua trasformazione in una sovraimposta dell'Ires che così sottrarrebbe autonomi e partite Iva che pagano l'Irpef a questa imposta da sempre sgradita agli azzurri. Ma il vero nodo sul quale battagliare sarà la prevista definizione di un regime unico per le imprese in modo da evitare le attuali distorsioni che si producono con i regimi di favore come il forfait. Non sarà semplice far sì che non si creino scompensi sebbene, va detto, le agevolazioni valide sotto una determinata soglia di ricavi incentivano le imprese a restare piccole e a non crescere per non pagare più tasse. Di qui la necessità di riproporre sistemi di vantaggio per gli utili reinvestiti in azienda. Ultima ma non meno importante la riforma dell'Iva.
La ridefinizione delle quattro aliquote (4, 5, 10 e 22%) dovrà porsi l'obiettivo, da un lato, di non penalizzare i consumatori e, dall'altro, le imprese ove si procedesse a una declinazione green dell'imposta relativamente ai combustibili fossili.
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