Oltre a virologi ed epidemiologi, esiste una figura chiave per contenere il virus: quella dei cacciatori di focolai. Sono una sorta di prima generazione dei cosiddetti «verificatori», cioè gli addetti al controllo dei dati delle app di tracciamento in caso venga segnalato un soggetto positivo. Investigatori richiestissimi in fase 2: gli Stati Uniti ne vogliono arruolarne 100mila, la Francia 30mila e l'Italia 6mila.
Ma quello che più di tutti questo mestiere lo ha imparato sul campo è Marino Faccini, responsabile della prevenzione delle malattie infettive dell'Ats milanese. Si è occupato di ogni tipo di rischio epidemiologico, dal morbillo alla meningite. E dal 20 febbraio, giorno dell'inizio «ufficiale» della pandemia, è sulle orme dei contagiati, a cominciare dai contatti di Mattia, il 38enne identificato come paziente uno.
Ora che siamo in avanzata fase 2, ha ancora senso tracciare la catena dei contagi?
«Ha moltissimo senso. È proprio da quando siamo usciti di casa che abbiamo dato origine a nuovi focolai. Vanno spenti in breve tempo perché non dilaghino».
Ma il lavoro è calato rispetto a febbraio e inizio marzo?
«Calato proprio no, è diverso. Nella prima fase dell'emergenza ricevevamo diverse centinaia di chiamate al giorno. Il virus era estremamente diffuso ma era più semplice identificare le persone perché, complice il lockdown, il problema era più circoscrivibile. Ora ci sono meno casi ma, rispetto al periodo in cui eravamo tutti a casa, è più complesso ricostruire gli spostamenti delle persone e i loro contatti».
Perché è ricominciata la vita di sempre?
«Sì, le persone si muovono tra ufficio, bar, ristoranti e, anche se hanno le mascherine e stanno attente alle norme, hanno meno paura rispetto a tre mesi fa».
E questo cosa cambia?
«Cambia che, non temendo più il virus, le persone sono meno collaborative con noi. Già è faticoso ricordare quante e quali persone abbiamo incrociato nella nostra giornata. Se uno perde la motivazione nel raccontarcelo, allora diventa più difficile ancora. La gente ha paura di doversi isolare nuovamente per i 14 giorni di quarantena».
La app Immuni vi aiuterà nel lavoro?
«Può essere di supporto ma dipende dal numero di persone che la scaricheranno e da quanti autorizzeranno a mandare un messaggio ai loro contatti in caso di positività. Noi per ora lavoriamo con il vecchio metodo, facendo squadra con i medici di famiglia».
Come procedete per identificare la catena sospetta?
«L'allarme scatta quando, oltre al soggetto positivo, ce ne viene segnalato un altro fra i suoi contatti. A quel punto ci attiviamo con inchieste, telefonate e tutto ciò che è in nostro potere per ricostruire e interrompere la catena di trasmissione».
Quanti siete in squadra?
«Siamo una cinquantina di persone. Ma, in vista dell'autunno e di una possibile ripresa, aspettiamo rinforzi. Per step arriveremo a 150 persone addette a indagare sui focolai. Dipenderà dalla gravità della situazione».
Cosa
pensa di questo aumento dei contagi?«È ancora sotto la soglia di allerta. E consideriamo che ora, oltre al numero di contagi in sé, dobbiamo tener conto dell'indice di contagio Rt. Anche quello è sotto i parametri».
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