"Il fatto che i nostri connazionali che non erano d’accordo con la possibile annessione alla Jugoslavia comunista dovessero essere eliminati e sterminati è un fatto storicamente documentato su cui nessuno può più avere dubbi". Eppure la tesi di Giuseppe De Vergottini, giurista originario della cittadina istriana di Parenzo, presidente di Federesuli, oggi è messa in discussione da storici e associazioni. Qualche giorno fa a Gorizia, ad esempio, in una celebrazione anticipata del Giorno del Ricordo delle vittime delle foibe, l’Anpi nazionale, assieme alla Zzb-Nob, l’associazione dei partigiani sloveni, ha deposto un mazzo di fiori in piazza Transalpina, al confine tra Italia e Jugoslavia, per sottolineare la responsabilità condivisa dei crimini di quegli anni.
L'iniziativa dell'Anpi a Gorizia
"Da troppo tempo una consistente parte delle celebrazioni ha assunto un carattere divisivo, all'insegna del nazionalismo, di nostalgie irredentistiche e persino della riabilitazione del fascismo storico", ha commentato il presidente dell’Anpi, Gianfranco Pagliarulo. "Occorre dunque avere una visione transnazionale – ha spiegato - che affronti con serietà la storia della tragedia di quelle terre". Ma i figli e i nipoti di chi dovette fuggire dal "terrore" seminato dalle milizie dell’Esercito popolare di liberazione della Jugoslavia non ci stanno e parlano di "negazionismo di ritorno".
"Così si torna indietro di trent’anni", avverte De Vergottini, invitato a parlare di foibe ed esodo in un incontro organizzato dalla fondazione Italia Protagonista e dal senatore azzurro Maurizio Gasparri. Insomma, ci tiene a sottolineare l’avvocato, figlio di esuli, chi veniva perseguitato non lo era in quanto "fascista" ma "semplicemente come italiano". "Del resto – prosegue – Secchia, Togliatti e il Cln Alta Italia rinunciarono preventivamente alla sovranità italiana in territorio giuliano e misero le formazioni dei partigiani italiani antifascisti alle dipendenze del nuovo corpo sloveno di Gorizia e dintorni".
"Massacrati perché italiani"
Per il presidente della federazione delle associazioni degli esuli istriani bisogna lasciarsi alle spalle quella contrapposizione e recuperare lo spirito di unità nazionale che ha portato nel 2004 alla proclamazione della legge che istituì il Giorno del Ricordo. "Negli ultimi tempi – accusa – si è cercato di mettere in discussione le celebrazioni del 10 febbraio perché si ricorderebbe soltanto una parte delle tragedie senza parlare della sofferenza delle popolazioni slave durante l’occupazione italiana". "Vorrei ricordare a chi contesta la gravità di questi crimini che quello che è successo ai nostri connazionali in Istria, Fiume e in Dalmazia purtroppo è successo anche a un numero rilevante di slavi, massacrate dai partigiani di Tito e dalla polizia politica jugoslava".
Si parla, secondo il giurista, di oltre 500 fosse comuni in Slovenia e di decine in Croazia. "Noi ci limitiamo a dire che il risultato di quelle stragi fu che il 90 per cento degli italiani lasciò quelle terre, e le lasciò per sfuggire ad un clima di terrore", ricorda. Storici, come Eric Gobetti, presente all’iniziativa organizzata dall’Anpi a Gorizia, però, continuano a sostenere che non ci fu alcuna "pulizia etnica" nei confronti degli italiani. "Il convegno negazionista dell’Associazione nazionale partigiani mira a cancellare il Giorno del Ricordo per proporlo in altri modi, è inaccettabile", protesta Donatella Schùrzel, vicepresidente dell’associazione Venezia Giulia e Dalmazia (AVGD). "Giusto rendere onore a tutte le vittime, ma qui siamo in Italia e quegli italiani – insiste – furono eliminati in modo incredibile, dobbiamo dargli la dignità del ricordo".
I crimini dell'Armata Popolare jugoslava
Anche Marino Micich, direttore dell’Archivio Museo di Fiume, rievoca gli eccidi commessi dai partigiani al servizio dell’Armata Popolare jugoslava contro i partigiani bianchi, come quello della malga di Porzus. "I comunisti accusavano gli esuli di essere fascisti, - spiega – ma quando da piccolo chiedevo a mio padre perché vivevamo nei campi profughi lui mi rispondeva semplicemente: ‘perché siamo italiani’". Il Giorno del Ricordo, sottolinea anche Davide Rossi, docente dell’Università degli Studi di Trieste, è stato celebrato e promosso da tutti i presidenti della Repubblica che si sono succeduti dal 2004 ad oggi. È la "giustizia ripartiva". "Il modo in cui lo Stato – spiega il professore - cerca di riparare il danno che ha creato alla popolazione giuliano dalmata".
"I negazionisti possono scrivere quello che vogliono ma non si può negare la verità della storia", incalza Maurizio Gasparri, che ha rinnovato il suo impegno per far sì che lo Stato continui a sovvenzionare le associazioni che coltivano il ricordo della tragedia che colpì migliaia di nostri connazionali.
Il ricordo nelle scuole
Intanto, il sottosegretario all’Istruzione, Rossano Sasso, in un post pubblicato su Facebook, ha invitato docenti e studenti a celebrare il 10 febbraio portando il ricordo della tragedia delle foibe nella aule scolastiche.
Convegni, incontri e dibattiti, sottolinea, servono a "conservare la memoria" di quei fatti e a "valorizzare il patrimonio culturale, storico, letterario e artistico degli italiani dell'Istria, di Fiume e delle coste dalmate, in particolare ponendo in rilievo il contributo degli stessi, negli anni trascorsi e negli anni presenti, allo sviluppo sociale e culturale del territorio della costa nord-orientale adriatica ed altresì a preservare le tradizioni delle comunità istriano-dalmate residenti nel territorio nazionale e all'estero".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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