Gli piacevano soltanto le cose strettamente necessarie contro la vita. Per questo era imbattibile a «Camiciaia», gioco a squadre che consiste nel trovare nomi e cognomi vip, partendo da due iniziali sorteggiate. Mutria e seriosità da Golgota non si addicevano a Carlo Vanzina, che se n'è andato d'estate, quando la voglia di giocare è grande. E lui, di mente elegante, vinceva pure se si trattava di riconoscere i personaggi dal ritaglio d'un naso, o d'un piede: li conosceva tutti, fin da ragazzino, quando riempiva un album di fotine e minicritiche dei film, con tanto di stellette. Prima che la critica le inventasse: aveva in casa papà Steno, padre della commedia all'italiana.
Svaghi da serate ai Parioli con Enrico Lucherini, Christian De Sica e altri amici spensierati, forse. Indicatori, però, d'una temperatura interna volta all'ironia intelligente: è quanto circola nelle sue piacevoli commedie che fanno della vita uno specchio. «Aveva la mia età. Ci conoscevamo da quando eravamo adolescenti: lo ricordo come un gran signore. Tale e quale a suo padre Steno. Mi ha insegnato molto. Amici come prima doveva girarlo lui, ma stava male e ho dovuto prenderne in mano le redini», dice costernato De Sica, che sta girando il cinepanettone della fraternità ritrovata con Massimo Boldi. Gli tocca essere allegro e travestirsi da donna, come da copione. «Ricorderò Carlo come il capofila dei tre moschettieri: io, lui e Christian. Poi, i moschettieri son diventati quattro, con il fratello Enrico. Mi diceva: Torno e giriamo un altro film», singhiozza Boldi, in partenza per Roma. Ieri tutti, gente dello spettacolo, dello sport e politici, hanno avuto parole di grande affetto per Carlo. Da francsceo Totti al sindaco di Roma. E Silvio Berlusconi, che ha prodotto molti film dei Vanzina: «Carlo era uomo di grande levatura intellettuale, colto, garbato, di formazione liberale ereditata dal padre».
Enrico, il fratello meno schivo e di due anni più grande, ieri ha fatto sapere che Carlo ha lottato con coraggio e lucidità contro la malattia. I due hanno vissuto da gemelli: stesso lavoro, stesse vacanze, stesse frequentazioni e, fino a poco tempo fa, quando Enrico, addetto alla scrittura dei film, si è trasferito in centro, stesso quartiere, i Parioli. Pariolini della prima ora, i due. Persone perbene, con un'educazione all'antica. Non gli arricchiti con le finte bionde appresso, che da decadi circolano tra piazza Euclide e piazza Ungheria: quante volte i Vanzina hanno ritratto tale generone romano nei loro film stracult, adesso oggetto di tesi di laurea, ma un tempo schifati dalla critica impegnata.
Data l'ottima creanza, appresa dai genitori e al Liceo Chauteubriand, il mondo del cinema, con i suoi magliari sempre a caccia di affari, più che di idee, poteva andare stretto a Carlo, che invece era il beniamino dei produttori: i suoi puntuali tempi di consegna lo rendevano caro a chi allenta i cordoni della borsa. E poi c'era Enrico a fargli da scudo. Il fratello più esperto nella gestione dei rapporti sociali e nel corpo a corpo con i giornalisti, ai quali toglie ogni acido, stringendo loro le mani prima della proiezione. Come in un patto tra gentiluomini. Cosa che Carlo, un po' timido, non faceva: più facile incontrarlo alla fine di viale Rossini, verso le sette e mezza del mattino, mentre imboccava Villa Borghese a passo svelto, col barboncino bianco al guinzaglio.
Non bello, ha avuto tre mogli di fascino perché sapeva farle ridere: dopo l'attrice Ely Galleani e la costumista Marina
Straziota, Lisa Melidoni gli ha dato due figlie, Assia e Isotta. E l'uomo e la sua tempra si sono visti anche quando, con grande affetto, ha allevato come sua la figlia di Lisa, Virginie Marsan, nata dal primo matrimonio di lei.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.