Prima era la Luna. Oggi è Marte.
Durante il suo primo mandato, fu la riconquista delle lande lunari a essere individuata da Donald Trump come la sfida spaziale da vincere per accedere alla storia. Promise che, fosse stato rieletto subito, entro il 2024 sarebbe diventato il presidente capace di portare la prima donna e il prossimo uomo, statunitensi of course, a calpestare la superficie selenica. Adesso è Marte la nuova meta della sua ambizione extraterrestre. Ed è tutta un'altra cosa.
«Perseguiremo il nostro destino manifesto verso le stelle - ha detto il neopresidente lunedì, durante il suo secondo discorso inaugurale - pianteremo la bandiera a stelle e strisce sul pianeta Marte».
Ai più attenti non saranno sfuggiti alcuni dettagli: a differenza di quando John Fitzgerald Kennedy, nel celebre discorso alla Rice University del 1962, promise che l'America avrebbe portato un astronauta sulla Luna «entro la fine del decennio», Trump non ha indicato una data precisa. Come Kennedy, però, anche Trump parlava a pochi metri da chi potrebbe consentirgli l'epocale traguardo: non un'incredula Nasa, come quella di Jfk, ma un gaudente Elon Musk. Fu infatti con il fine ultimo di «rendere la nostra specie interplanetaria» che nel 2002 Musk fondò SpaceX, l'azienda con cui ha rivoluzionato l'industria e l'economia (e la difesa) spaziale di tutto il mondo.
Il fatto però, proprio come la Nasa nel 62, è che al momento né Musk né altri possiedono la tecnologia per garantire il risultato.
Per ora Marte rimane il pianeta dei robot. Obiettivo fallito delle missioni sovietiche fin dal 1960, il pianeta fu avvicinato per la prima volta dalla sonda statunitense Mariner 4 solo nel novembre di quattro anni dopo. Prima di vedere un lander appoggiarsi sulla rossa superficie desertica sarebbero trascorsi altri sette anni, un'attesa peraltro finita nel 1971 dall'«ammartaggio» non del tutto riuscito della sovietica Mars 3. Nel 1976 gli Stati Uniti riuscirono, per primi, a far «ammartare» con successo il lander Viking 1. A oggi, fra le sabbie del Pianeta rosso, hanno scorrazzato solo sei robot, cinque americani di cui due ancora attivi (Curiosity e Perseverance) e uno cinese, Zhurong.
Nessuna anima viva.
Perché se è già dura per un mezzo automatico, come sa bene l'Europa che vi si schiantò con il lander Schiaparelli nel 2016 e che ancora aspetta di tornarci, agli esseri umani la migrazione marziana riserva sfide ancora da scoprire fino in fondo, figuriamoci risolvere: con i sistemi di lancio disponibili, raggiungere Marte impone un viaggio non più breve di sei mesi. A quel punto, per motivi di allineamento planetario, cioè per ripartire quando Marte e la Terra fossero più vicini, la permanenza in loco dovrebbe essere di circa un mese, o di oltre 500 giorni, senza vie di mezzo. Così si impiegherebbero «solo» fra i sei e gli otto mesi per tornare a casa. Nel frattempo, gli astronauti dovrebbero essere schermati da una quantità di radiazioni capace di ucciderli ben prima della destinazione, le loro comunicazioni impiegherebbero decine di minuti per raggiungere la Terra, e le risorse dovrebbero essere prodotte a bordo, o in situ. Sempre che nessuno impazzisca (la prevenzione della cosiddetta cabin fever è, non a caso, studiata dalle agenzie spaziali)
Non esattamente il viaggio dei sogni. Nemmeno quelli di Musk, che pur avendo ammesso di volerci morire, su Marte, è consapevole di dover risolvere ogni sfida per realizzare la promessa di Trump. Di fatto, che il nuovo presidente abbia parlato di Marte ribadisce quanto l'influenza dello space billionaire sia rilevante: perché mentre agenzie spaziali come la Nasa o l'europea Esa studiano come affrontare il viaggio verso Marte, nemmeno il traguardo lunare è stato raggiunto. E proprio sulla Luna si dovrebbero testare tecnologie e processi fondamentali per spingersi nello spazio profondo.
Purtroppo, poche settimane fa, il programma lunare Artemis è stato rinviato per l'ennesima volta: il prossimo allunaggio non avverrà prima del 2027 inoltrato. Anche in questo caso molto dipenderà da SpaceX, la cui astronave Starship, il primo sistema di lancio completamente riutilizzabile della storia, è stata scelta per depositare gli astronauti sulla superficie della Luna. Peccato che il suo sviluppo vada a rilento e che anche il test del 16 gennaio sia finito anzitempo con un'esplosione.
Non che la cosa sembri impensierire Musk: ha detto che entro la fine dell'anno il suo nuovo gioiello funzionerà. E visti i ritardi anche dell'altro razzo coinvolto, lo Space Launch System della Nasa, che gli astronauti dovranno utilizzare per arrivare in orbita lunare prima di salire sulla Starship, è verosimile che Trump decida di affidare tutto il programma a SpaceX.
Un'eventualità che anche il prossimo amministratore della Nasa potrebbe caldeggiare: già nominato da Trump (se approvato dal Senato) a guidare l'ente spaziale sarà il miliardario Jared Isaacman, noto ammiratore nonché cliente di Musk (da cui ha privatamente acquistato quattro missioni extra-terrestri).
A quel punto, e la dichiarazione di Trump lo fa supporre, non è escluso che gli Stati Uniti decidano di realizzare quanto prima il sogno supremo di Musk, che ha annunciato di voler spedire una Starship attorno a Marte nel 2026 e una missione con equipaggio due anni dopo. Nel 2019 un rapporto dell'Accademia internazionale di astronautica, un team di 30 fra i massimi esperti del settore, prevedeva il primo sbarco entro il 2042, lasciando intendere che imprenditori privati potessero anticiparlo anche di un decennio.
È tremendamente difficile che questo si avveri. Ma da amante dello spazio, e a fronte dei benefici scientifici e tecnologici che vincere una sfida così difficile porterebbe a tutti, spero che Trump e Musk mi smentiscano.
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