Il focolaio al matrimonio di Nicosia, Sicilia, è stato provocato da un invitato proveniente dalla Germania, il focolaio in Veneto è nato dai migranti. Nel Nord est molti casi positivi sono tra le badanti romene o moldave, a Roma si è miracolosamente domata una catena di contagi nata nella comunità bengalese.
Professor Massimo Galli, è forse il caso di chiudere le frontiere?
«Chiudere i confini implicherebbe danni molto grossi al turismo e non sarebbe affatto facile. Dobbiamo convivere con i contagi d'importazione. E consideriamo che ne abbiamo moltissimi sommersi anche all'interno del Paese».
Quindi come possiamo difenderci?
«Rispetto alla scorsa ondata, quando pensavamo bastasse chiudere i voli dalla e per la Cina, abbiamo imparato a fare i controlli e a scovare sul nascere i focolai. Quindi utilizziamo gli strumenti che abbiamo: la quarantena per chi arriva, i tamponi sui casi sospetti, il tracciamento dei positivi. Ora riusciamo a diagnosticare l'infezione molto prima, a febbraio abbiamo cominciato a fare i tamponi dopo il 20 ma eravamo già pieni di casi da gennaio ed il virus aveva circolato indisturbato per almeno un mese».
I numeri dei contagi cominciano a peggiorare un po'. Dobbiamo preoccuparci?
«Purtroppo cominciano a salire, per ora di poco, anche i ricoveri in terapia intensiva. Per questo non dico di attuare interventi estremi come il blocco delle frontiere ma almeno utilizzare il massimo della prudenza, questo sì. Dopo esserci scottati come è accaduto, ora dobbiamo e sappiamo stare più attenti».
Ma secondo lei entro Ferragosto c'è il rischio di raggiungere i 500 contagi al giorno, cioè la soglia della pre allerta?
«Diciamo che il mio Ferragosto lo passerò al Lago Maggiore, cioè a un'ora e mezza dall'ospedale Sacco di Milano. Non mi posso proprio permettere di andare più lontano, i numeri parlano abbastanza chiaro».
Eppure c'è chi sostiene che il virus non esista più.
«Sono dieci scienziati, come si definiscono loro. Alcuni li stimo e li conosco, altri no. Gli altri fanno altri mestieri. Detto questo, la vedo dura insistere su una posizione quando succede tutt'altro».
Lei ha detto più volte che la malattia non si può abolire per decreto.
«E lo ribadisco. Soprattutto ora che ogni posizione viene fatta confluire in un dibattito politico. Io direi di spostare le litigiosità politiche su altri temi. E poi serve un coordinamento centrale e tecnico. Solo così possiamo realmente affrontare l'epidemia».
Piazze piene, locali affollati. Cosa pensa di questi comportamenti?
«Visto quello che sta accadendo, ci poteva andare molto peggio come numeri. Intendo dire, in Spagna la situazione è molto più drammatica, forse anche per il fatto che il lockdown è stato più breve e meno stringente».
Quali sono le incognite ora?
«Resta il problema degli asintomatici, il 30% degli infetti. E l'incognita dei sommersi.
Prima del 20 febbraio, ci eravamo illusi che l'emergenza italiana si potesse concludere con i quattro casi allo Spallanzani di Roma. E invece eravamo pieni di positivi e mai avrei pensato di vedere quello che è accaduto. Chiudevamo i voli dalla Cina ma il virus arrivava indirettamente da altri paesi da persone che erano state in Cina».
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