Il fucile, le minacce e l'appello all'islam: l'ayatollah in trincea ha le armi spuntate

Retorica contro realtà: il leader è debole. E il mondo musulmano non si fida di lui

Il fucile, le minacce e l'appello all'islam: l'ayatollah in trincea ha le armi spuntate
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Il fucile appoggiato tra il leggio e la tunica nera. Il discorso indirizzato non solo ai fedeli stretti intorno a lui, ma a tutti i musulmani del Medioriente chiamati a combattere contro il «comune nemico». L'abbraccio all'«albero benedetto» di Hezbollah da sempre suo strumento e creatura. E, infine, le minacce a Israele «vampiro» destinato a «non sopravvivere a lungo».

Oltre agli attacchi ad un'America «cane rabbioso» colpevole di usare lo Stato Ebraico per «controllare territori e risorse della regione». Un discorso in quattro atti per cancellare, con parole e simboli, la narrazione di un Ayatollah Alì Khamenei braccato, di una Suprema Guida nascosta in un bunker per timore dei missili israeliani. Ma anche un discorso studiato per offrire l'immagine di un Alì Khamenei pronto a unire i musulmani del Medio Oriente e guidarli nella lotta contro Israele e gli Stati Uniti. Tra retorica e realtà ci sono, però, i fatti. Il fucile esibito dall'ayatollah Khamenei è un'arma spuntata. Come lo sono i suoi missili. Missili capaci di bussare ai cieli di Israele, ma incapaci di bucare - a causa di un'evidente divario tecnologico - la rete di difesa allestita da Israele e Stati Uniti. E lo stesso dicasi per gli apparati di sicurezza.

Mentre quelli iraniani dopo il 7 ottobre non sono riusciti a mettere a segno un solo colpo, il Mossad gioca a rimpiattino con gli uomini di Khamenei e con i suoi alleati. Gli ha ucciso in quel di Teheran il capo di Hamas Ismail Hanye e in quel di Beirut - oltre al trentennale alleato Hassan Nasrallah - anche il fidato generale Abbas Nilforoushan arrivato da Teheran per avvisare l'alleato sciita di starsene al sicuro. Per scacciare ed eludere questa triste realtà Khamenei deve per forza metterci la faccia. E aggiungerci il fucile. Ma la rappresentazione sconta i propri limiti. La faccia di Khamenei non è quella di un condottiero, ma di un anziano ayatollah 85enne roso da un tumore alla prostata. Mentre la sua credibilità di leader è seriamente compromessa da un apparato di sicurezza penetrato in profondità dagli israeliani. Tanto da non esser più in grado di proteggere né i propri alleati, né i propri confini. Come dimostrano le eliminazioni degli scienziati impegnati a progettare l'arma atomica o la sottrazione, nel 2018, dell'intero archivio nucleare. Tutto questo le opinioni pubbliche musulmane del Medio Oriente lo sanno bene. Così quando Khamenei invoca «il dovere e la responsabilità di tutti i musulmani» d'aiutare «la battaglia per la Moschea di Al Aqsa» e «il popolo e la guerra santa del Libano» c'è da chiedersi quanti da Riad a Gaza possano dargli credito. E fidarsi di lui. E non tanto perché sono sunniti - mentre Khamenei rappresenta una Repubblica Islamica simbolo dello scisma sciita - ma soprattutto perché l'Iran ha perso in pochi mesi la sua identità di grande potenza regionale.

Dopo aver (forse) innescato il 7 ottobre non ha saputo far altro che assistere alla distruzione di Gaza e alla morte di oltre 40mila palestinesi. E dopo aver creato e armato Hezbollah non ha saputo evitare la decimazione della sua classe dirigente. In tutto questo anche i 180 missili lanciati martedì scorso su Israele - definiti da Khamenei «minima punizione» per gli «stupefacenti crimini» d'Israele - non bastano a nascondere l'inconsistenza militare della Repubblica Islamica. Anche perché l'unico disgraziato ucciso da quei missili non è stato un israeliano, ma un palestinese fuggito da Gaza per morire a Gerico.

Storie minimali rispetto all'inferno in cui è precipitata la nazione, ma ben evidenti ad una popolazione araba abituata ormai a seguire più i social che non i discorsi della Suprema Guida. Anche per questo l'immagine di Khamenei e del suo Iran rischia di diventare agli occhi di tanti musulmani quella di un pifferaio maledetto pronto a guidare verso l'abisso chiunque ascolti la sua musica.

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