L'odio nelle urne

Fucili pronti, negozi chiusi. "Si rischia la guerra civile". L'incognita del voto per posta ha esacerbato il clima. Gli ultras opposti minacciano violenze

L'odio nelle urne

Nessuno lo vuole ammettere, ma tutto quel che non è stato deciso dai conteggi della scorsa notte minaccia ora di creare un clima da autentica guerra civile. Un clima evocato dalle migliaia di imponenti barriere di legno o d'acciaio con cui la maggior parte dei commercianti da Los Angeles a Chicago, da New York a Miami ha scelto di proteggere e difendere i propri negozi. Un clima anticipato dalla decisone del marchio Walmart di rimuovere armi e munizioni dalle migliaia di grandi magazzini sparsi per tutto il paese motivando la scelta con il timore di «disordini civili».

Ma un altro termometro dell'inquietudine sono i seminari messi in rete dalla Federazione Nazionale per il Commercio al Dettaglio. Seminari in cui si spiega a commessi ed esercenti come bloccare eventuali irruzioni di dimostranti violenti o di potenziali saccheggiatori pronti a mettere a ferro e fuoco i loro locali. «Con l'avvicinarsi del voto abbiamo percepito un clima di ansia e incertezza diffusa e abbiamo capito che dovevamo esser pronti a fronteggiare qualsiasi eventualità» - spiegava ieri al Washington Post Stephanie Martz, responsabile della Federazione.

Le paure degli americani sono in gran parte figlie dell'incertezza creata dai 100 milioni di voti espressi per posta o attraverso le procedure di voto anticipato. Una cifra enorme e senza precedenti figlia di un'angoscia chiamata pandemia. Quegli oltre cento milioni di schede, affidate alle poste o ai seggi per il voto anticipato, rappresentano il 47% dei votanti registrati a livello nazionale e il 73% del totale dei voti depositati nelle urne durante le elezioni del 2016. Ma quella massa di voti anticipati sta rendendo assai complesso il computo o la validazione delle schede arrivate in ritardo. Proprio per questo si sta trasformando nell'imprevedibile e sconosciuto terreno di battaglia su cui legioni di avvocati di entrambi gli schieramenti sono pronti a combattere un infinito duello post-elettorale. Ciascuno di quei cento milioni di voti può infatti diventare un cavillo.

Per meglio comprendere il problema e le difficoltà, basta partire da quel buco nero dell'incertezza chiamato Pennsylavnia. Oltre ad essere uno swing State, ovvero uno dei grandi Stati dove un'oscillazione di pochi voti può risultare decisiva per la vittoria a livello federale è anche uno Stato dove - in virtù di consuetudini mai diventate leggi - vengono considerate valide le schede pervenute fino a tre giorni dopo la chiusura dei seggi purché il timbro postale sia quello di ieri o dei giorni precedenti. Ma mai in passato i voti postali e anticipati erano stati tanti e tanto determinanti. Proprio per questo Trump e i suoi avvocati - appoggiati dai giudici di consolidata fede repubblicana - potrebbero aver facile gioco nel trasformare il conteggio in un'interminabile disputa legale.

In questo clima esacerbato, anche il più banale cavillo legale può diventare il pretesto per dare il via a scontri armati. Dietro ai giudici e agli avvocati di Trump e dietro ai sostenitori di Biden, si muovono decine di gruppi violenti pronti a trasformare il confronto in guerra aperta. Dietro le ansie dei democratici che temono di farsi scippare la vittoria si muovono quei gruppi «antifa» che dallo scorso 25 maggio, giorno dell'uccisione dell'afro-americano George Floyd per mano di un poliziotto, hanno messo a ferro a fuoco 48 delle cinquanta maggiori città americane causando danni per oltre un miliardo di dollari. Una marea violenta che non esiterebbe a misurarsi con le decine di milizie decise a prendere le parti del presidente uscente.

Matt Marshal, fondatore ed ex leader della milizia del Tre Percento (dal tre per cento di coloni che guidò la guerra d'indipendenza contro gli inglesi) dello Stato di Washington, ammette che se gli «antifa» scenderanno in strada per contestare un'eventuale vittoria di Trump «le cose si metteranno veramente male». Nega però che le milizie armate possano cercare di bloccare le urne o invalidare il voto. «È facile capire - spiega - che se la nostra gente prenderà i fucili e tenterà di fare da sola, la nostra mossa non aiuterà nessuno» . Ma Ammon Bundy, leader di un gruppo di cow boys armati protagonista nel 2016 dell'occupazione di un centro per la fauna selvatica dell'Oregon, non è così convinto che tutto possa filare liscio.

«Ne sono certo ci saranno tanti, tantissimi problemi. E ci saranno sia che Trump vinca o perda. Proprio per questo io e i miei non esiteremo a far sentire la nostra voce. Siamo pronti a difendere i diritti della nostra gente».

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