La situazione sul campo, le armi italiane destinate agli ucraini per garantirne il diritto all'autodifesa e colpire i siti di lancio dai quali i russi, dall'Ucraina, bombardano le città, lo spauracchio nucleare. Il ministro della Difesa Lorenzo Guerini si presenta in audizione alle commissioni Difesa di Camera e Senato e fa il punto sulla guerra in corso da 71 giorni. Spiega che la strategia di Mosca dipende dalla capacità di resistenza ucraina. Se questa venisse meno, i Russi potrebbero, aggiunge il ministro, valutare una «espansione dell'occupazione» fino a Odessa, chiudendo all'Ucraina l'accesso al Mar Nero.
Finora, prosegue il titolare della Difesa, il fallito tentativo di conquistare Kiev ha provocato il «riposizionamento delle unità» e una «concentrazione dello sforzo sul fianco Est», con 130mila uomini su questo fronte. Dove si combatte «nel Donbass e nei territori contesi degli oblast di Donetsk e Lugansk» dice Guerini ai nostri parlamentari, raccontando della «feroce offensiva per occupare la città portuale di Mariupol», strategica per il controllo del Mare di Azov e per collegare Donbass e Crimea. E che Mosca voglia un'escalation in vista della Giornata della Vittoria, per il ministro «è possibile»: «In parte sta già avvenendo - spiega - una intensificazione del conflitto» per strappare «risultati tangibili» entro il 9 maggio. Di certo, l'avvio di un «vero negoziato» non ha senso «senza che i russi smettano di bombardare»: una pace non può basarsi «sulla resa di chi è stato aggredito», dice Guerini. Spiegando che di fronte a questa guerra in «totale spregio» delle regole di convivenza civile della comunità internazionale, l'Italia «ha deciso di non voltarsi dall'altra parte». E se domani l'aiuto sarà essere al fianco di Kiev per «la ricostruzione del Paese», oggi sono le armi, mandate «in piena coerenza con le risoluzioni parlamentari» e in coordinamento con i partner Ue e Nato, il modo concreto per aiutare il popolo ucraino a «tutelare il proprio diritto all'autodifesa». Tra «controcarro, difesa aerea a cortissimo raggio, mortai, munizionamento di artiglieria, sistemi di comunicazione, dispositivi di protezione individuale e kit di sopravvivenza», anche «dispositivi in grado di neutralizzare le postazioni dalle quali la Russia bombarda indiscriminatamente le città e la popolazione civile», spiega il ministro.
Innescando la reazione del capo del M5s Conte, preoccupato che questo «significhi che siamo disponibili anche a distruggere postazioni russe in territorio russo» e la perplessità del leader leghista Salvini, anche se il ministero ribadisce immediatamente l'uso «difensivo» di quei dispositivi, mirati a reagire ad attacchi russi partiti dal suolo ucraino. Guerini spiega anche il perché del segreto sulle armi, finalizzato a «non far percepire in termini provocatori da parte russa la nostra attività», prima di dire la sua sulla minaccia nucleare: Mosca ne avrebbe fatto un «uso propagandistico e strumentale», anche se «l'ambiguità e la gravità dei messaggi» rispetto al nucleare conferma «la postura aggressiva della Russia». La cui dottrina militare prevede, ricorda Guerini, «il ricorso a ordigni nucleari tattici in caso di stallo operativo», per cui «la Nato monitora con attenzione tutte le attività correlate alla prontezza militare di quel Paese».
Ma lo scenario sembra improbabile e la minaccia è forse stata per Mosca, spiega il titolare della Difesa, un modo per provare a dividere le opinioni pubbliche occidentali e un test «della reale coesione di Nato e Ue». Test fallito, conclude Guerini, perché «contrariamente alle aspettative» di Putin, l'effetto dell'invasione è stato quello di «cementare la coesione della Nato e di rafforzare l'unità dell'Unione europea».
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