Da una parte c'è la leader nazionale (e aspirante premier) che si accoda al piano energia di Draghi e che manda il responsabile energia di Fratelli d'Italia a dire che le infrastrutture anti-emergenza vanno fatte. Dall'altra ci sono sindaci e presidenti di regione del partito di Giorgia Meloni che - sottobraccio a 5S, verdi, estrema sinistra e pezzi di Pd - sabotano ogni progetto strategico utile a uscire dalla crisi.
A Piombino il sindaco Francesco Ferrari di FdI è stato l'unico, nella conferenza dei servizi indetta dalla Regione il 19 settembre, a ribadire il proprio ostinato «niet», minacciando ricorsi e definendo «totalmente inattendibili» le motivazioni tecniche a sostegno della sua messa in opera. Il Pd, che per mesi a livello locale ha alimentato il boicottaggio, ora si è zittito. Persino i grillini negli ultimi giorni si sono esibiti in vari testacoda: prima hanno votato sì a un ordine del giorno parlamentare a sostegno del rigassificatore, poi hanno detto di essersi sbagliati. Poi l'ineffabile Giuseppe Conte, dimostrando una volta di più di sapere raramente di cosa parla, si è detto contrario all'infrastruttura di Piombino perché - personalmente - «preferisco i rigassificatori temporanei galleggianti». Qual è, per l'appunto quello di Piombino. Ma sta di fatto che il sindaco meloniano è rimasto l'unico ad opporsi. In contraddizione con la sua leader che, sia pur confusamente, a fine agosto aveva detto che «sarebbe meglio non metterlo a Piombino, ma se non ci sono alternative bisogna autorizzare i rigassificatori nel tempo che è stato definito». Ossia entro fine ottobre. Ha buon gioco quindi Matteo Renzi a strattonarla: «Giorgia, ma come fai a pensare di governare il paese se non riesci nemmeno a governare i tuoi?». Anche il dem Andrea Marcucci incalza: «Quello di FdI è un insopportabile gioco delle parti, una sceneggiata elettorale».
Intanto il governatore toscano Giani riceve sul sito del movimento «No rigassificatore» (che inneggia all'opposizione del sindaco) pesanti minacce: «Non venire a Piombino, potresti farti male». Un passo falso che getta una luce ambigua sugli oppositori del rigassificatore, mentre esplode la polemica sulla surreale richiesta della Soprintendenza locale ai Beni culturali di dare alla nave rigassificatrice Golar Tundra «una tinta omogenea al paesaggio».
Ma, come raccontava ieri il Foglio, non c'è solo il boicottaggio ostinato del rigassificatore: in Abruzzo, la giunta regionale presieduta dal meloniano Marco Marsilio sta frenando il via libera al progetto di metanodotto Sulmona-Foligno, una tratta di 168 km di tubi che deve connettere la cittadina abruzzese al nord. Infrastruttura «strategica», secondo il governo, per rafforzare il corridoio adriatico destinato a trasportare il gas dal Tap pugliese verso il nord Italia, e a potenziare la reste Transmed. A giugno, Marsilio aveva spedito all'incontro con il governo per sbloccare l'opera un funzionario del Genio civile, che si era limitato a «non rilevare competenze specifiche della Regione» ragion per cui «non ci si esprime in senso contrario». Un via libera? Il governatore, di fronte alle furibonde proteste dei comitati ambientalisti e Ninby che lo accusavano di aver ceduto a Draghi, si è prima giustificato parlando di tavolo esclusivamente «tecnico», che esulava dalle sue scelte politiche, poi ha silenziosamente frenato.
E l'autorizzazione della giunta regionale non è più arrivata, con grande delusione e irritazione del governo che denuncia il «collo di bottiglia» che blocca un'opera essenziale per fronteggiare le difficoltà di approvvigionamento.
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