Gastone l'ultrà gioca in difesa Ma l'accusa chiede l'ergastolo

L'assassino di Ciro Esposito prima recita la parte della vittima: «L'arma non era mia, feci fuoco per difendermi». Poi insulta i pm

Tiziana Paolocci

«Penso a Esposito tutti giorni e mi dispiace per quello che è successo». È un mix di rabbia, sfrontatezza e disperazione l'atteggiamento di Daniele De Santis, l'ultrà giallorosso imputato per l'omicidio di Ciro Esposito, ferito il 2 maggio 2014 da alcuni colpi di pistola negli scontri prima della finale di Coppa Italia Napoli-Fiorentina e morto dopo 53 giorni d'agonia.

«Gastone», come lo chiamano gli amici, ieri ha risposto alle domande del pm, fornendo la sua versione dei fatti. Ha prima parlato in maniera pacata, con un velo di tristezza negli occhi, rivolgendo il pensiero alla vittima. Poi, a fine udienza, da dottor Jekyll si è trasformato in Mr Hyde, e si è scagliato verbalmente contro i pm, «colpevoli» di aver chiesto l'ergastolo per lui.

Era arrivato in barella nell'aula bunker di Rebibbia, a causa delle ferite alla gamba riportate in quel pre partita di sangue. «Ho esploso io i colpi di pistola - ha confermato - ma quell'arma non l'ho portata io. Ce l'aveva un tifoso del Napoli, che non apparteneva al gruppo di cui faceva parte Esposito. Ricordo di aver cercato di chiudere il cancello del Ciak Club, ma di non esserci riuscito e di essere stato aggredito da un gruppo di napoletani che mi hanno ferito ad una gamba». «Nel corso della colluttazione sono stato colpito alla testa dal calcio della pistola che però sono riuscito a strappare dalle mani di chi la possedeva - ha continuato rivolto ai pm - ricordo che era una persona dal fisico corpulento ed ho esploso dei colpi, ma non ricordo neanche quanti». L'ultrà, difeso dall'avvocato Tommaso Politi, ha raccontato di non essersi «neanche reso di conto» di aver colpito Ciro e che «c'era una persona a terra».

Per il difensore della famiglia Esposito, l'avvocato Angelo Pisani, però, quella dell'imputato è «una deposizione contraddittoria, non credibile, che rappresenta un'ulteriore, grande prova della sua colpevolezza».

«Ha confessato di aver sparato, chiediamo l'ergastolo - ha detto il legale -. Ci aspettiamo che la giustizia possa trionfare perché è stato un gesto criminale».

E proprio l'ergastolo è la pena richiesta dai pm Eugenio Albamonte e Antonino Di Maio, che hanno sollecitato anche una condanna a tre anni per gli altri due imputati, Gennaro Fioretti e Alfonso Esposito, tifosi del Napoli e accusati di rissa aggravata. Entrambi facevano parte del gruppo che con Ciro si avventarono contro «Gastone», nella zona di viale di Tor di Quinto.

«L'ergastolo me lo do da solo, non me lo date voi. Non ho paura di morire, buffoni», ha urlato l'imputato, dopo aver ascoltato i rappresentanti della Procura di Roma. Poi è stato trascinato fuori dall'aula bunker.

Nemmeno la massima pena, però, riuscirebbe a pacare il dolore nel cuore della mamma di Ciro. «Nessuna soddisfazione - ha commentato Antonella Leardi -. La richiesta di ergastolo deve essere un monito. Non è una questione di soddisfazione, io ho perso mio figlio e nessuno me lo ridarà ma chi esce per uccidere ci deve pensare due volte. Le parole di De Santis io non le ho ascoltate. I miei occhi non erano rivolti verso di lui. Con i video e le testimonianze speriamo di avere giustizia. La mia liberazione sarà il giorno in cui potrò incontrare di nuovo mio figlio».

Anche Vincenzo Esposito, lo zio della vittima, ha parlato

della reazione scomposta in aula dell'ultrà giallorosso. «Si è macchiato di parecchi reati - ha sottolineato - e ne è sempre uscito pulito, ma questa volta è rimasto fregato: ogni tanto in questo Paese la giustizia funziona».

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