La linea difensiva di Alberto Genovese corre su due fronti: il primo si fonda sull'«incapacità» di essere pienamente cosciente delle proprie azioni violente; il secondo si basa sulla «capacità» delle sue vittime di comprendere di essere all'interno di un «sistema» (a base di droga e sesso) che le ragazze erano «libere di accettare o meno».
Un combinato disposto che i legali di Genovese auspicano possa portare, in sede processuale, all'alleggerimento dei molteplici capi di imputazione (violenza sessuale, lesioni, sequestro di persona e spaccio) che gravano sul 43enne manager milanese in carcere dal 6 novembre dopo la denuncia di una 18enne rimasta in balìa dell'uomo per un giorno intero.
In occasione della convalida di quel fermo il gip definì la personalità del fondatore milionario della start-up Facile.it (ceduta nel 2014) «altamente pericolosa» con un «assoluto disprezzo per il valore della vita umana, soprattutto di quella delle donne», da lui trattare alla stregua di «bambole di pezza».
Nell'episodio riguardante la 18enne Genovese avrebbe agito, sempre secondo la motivazione del gip, «prescindendo dal consenso della vittima, palesemente incosciente per circa la metà delle 24 ore trascorse con lui».
Successivamente alla denuncia della 18enne altre ragazze hanno sostenuto (in due casi perfino attraverso la copertina di un giornale) di aver subito un analogo trattamento. Stupri che sarebbero avvenuti non solo in Italia durante i party milanesi ospitati sulla famigerata «terrazza sentimento», ma anche durante periodi di vacanze all'estero. Come nel caso della modella 23enne che sostiene di essere stata violentata in una villa a Ibiza, episodio per il quale Genovese è stato due giorni fa nuovamente interrogato dal gip dopo la seconda ordinanza di custodia cautelare.
Il manager ha negato lo stupro, ricordando che la modella, al pari delle altre ragazze partecipanti ai festini, andavano nella sua stanza «consapevolmente»: un «sistema» in cui il l'imprenditore «metteva a disposizione tutto», compresa la droga. Il manager, esattamente come nel caso della 18enne da cui è partita l'inchiesta, è accusato aver abusato della 23enne dopo averle ceduto «massicce dosi di cocaina e ketamina». «Ai festini - ha spiegato Genovese - erano due pusher di solito a portare le droghe che io mettevo a disposizione degli invitati. E le donne partecipavano perché sapevano che c'era la cocaina».
L'imprenditore ha precisato come esistessero anche «feste in cui gli invitati non si drogavano» e che «questi due mondi erano incomunicabili tra loro»; come dire: chi sceglieva di andare ai party a base di droga, sapeva a cosa andava incontro. E questo valeva pure per le ragazze, che però non potevano certo immaginare che dalle «sniffate» si sarebbe passati alle torture.
La difesa è tornata a chiedere per Genovese i domiciliari in una clinica «per la disintossicazione», ma l'istanza
è stata bocciata.Il 43enne resta quindi in carcere. Unico punto a suo favore: il gip ha rigettato gli altri capi di imputazione per i quali i pm avevano chiesto l'arresto in relazione alle denunce di altre sette ragazze.
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