La Germania nel Mes spinge anche l'Italia a un sì controvoglia

Via libera dei giudici costituzionali. Margini stretti ora per il nostro governo

La Germania nel Mes spinge anche l'Italia a un sì controvoglia

Il governo, che poco «sovranisticamente» si era rifugiato dietro la Corte costituzionale di un altro paese (la Germania), è stato preso un po' in contropiede dall'arrivo della sentenza tedesca sulla riforma del Trattato Mes, il cosiddetto fondo «salva-Stati».

Non si aspettavano che arrivasse così presto, a Palazzo Chigi, «non prima di gennaio» e della chiusura del fronte della legge di Bilancio. E ora invece si ritrovano una grana grossa come una casa da disinnescare, perché - esauriti gli alibi - c'è da dire un sì o un no alla riforma, e farla approvare o respingere dal Parlamento italiano, buon ultimo in Europa. Dove tutti i Parlamenti, Berlino inclusa, hanno già da tempo ratificato, e senza tante storie, la riforma. Tertium non datur, e entrambe le scelte hanno conseguenze potenzialmente pesanti: l'isolamento in Europa se si dirà no, bloccando la riforma, con inevitabili ripercussioni sulle delicatissime trattative che l'Italia deve condurre con Bruxelles nei prossimi mesi su Pnrr e patto di stabilità, nelle quali ha bisogno di tutta la credibilità e l'aiuto possibile da parte dei partner. Oppure la plateale smentita di anni di battaglie ideologiche contro il Mes al grido di «no pasaran».

Per ora si tace, si prende tempo, si fanno trapelare posizioni moderatamente critiche ma in nome dell'europeismo, come quella del ministro degli Esteri azzurro Antonio Tajani, che lamenta il mancato coinvolgimento del Parlamento di Strasburgo nella governance. Persino il solitamente loquace Matteo Salvini si trincera dietro il silenzio e rispedisce la palla a Palazzo Chigi, in risposta a chi gli chiede se il governo sia contrario al Mes: «Ne parlerò con la premier, che si chiama Giorgia Meloni», dice.

L'opposizione già affila le armi: «É inevitabile che dicano sì, non possono permettersi altro: il no al trattato darebbe un colpo terribile alla credibilità dell'Italia, e i mercati ce la farebbero pagare», ragiona l'ex sottosegretario Pd con delega alle Politiche europee Vincenzo Amendola. Che chiosa ironico: «Certo, dovrebbero capovolgere le proprie posizioni pre-governo. Ma una capriola in più non cambierà loro la vita». Mentre da Azione Daniela Ruffino invita a «evitare una brutta figura» e a «far presto sulla legge di Bilancio, per poi affrettarsi a proporre, subito dopo, la ratifica del Mes». Ma è la posizione dei 5s la più surreale: è stato proprio Giuseppe Conte, da premier, a ratificare (tra mille coliche dei suoi e dopo mesi di tentennamenti) in sede Ue la riforma del trattato. Ora, dal comodo rifugio dell'opposizione, si prepara a dire no alle sue stesse scelte, per vellicare gli umori complottisti anti-europei un tempo coltivati da Meloni e Salvini.

A Palazzo Chigi si ragiona sulle opzioni possibili, consapevoli che ben presto il governo avrà sul collo il fiato di Bruxelles, che sollecita una decisione chiara. Intanto c'è da chiarire ciò che non è stato spiegato a suo tempo agli elettori: approvare la riforma del Mes non ha nulla a che fare col chiedere l'attivazione di una linea di credito: si tratta solo di definire il quadro giuridico in cui agisce il Fondo. Poi c'è da tenere a bada gli anti-Ue interni, e soprattutto la Lega salviniana.

E per giustificare il sì, difficilmente evitabile, potrebbe tornar utile - ancora una volta - lo scudo Draghi: proprio l'ex premier, insieme a Macron, aveva proposto un anno fa di trasformare il Mes in una sorta di «agenzia del debito» europea. Far propria la proposta, e rilanciarla nel dibattito Ue per giustificare la ratifica della riforma, potrebbe aiutare a uscire dall'angolo.

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