I redditi medio-alti possono tirare un sospiro di sollievo. Alla vigilia della presentazione della Nadef, infatti, la riforma fiscale annunciata dal ministro dell'Economia, Roberto Gualtieri, pare essersi impantanata. Da una parte, i ritardi nell'avvio di Next Generation Eu, certificati dal Consiglio straordinario Ue terminato venerdì scorso, potrebbero togliere alla prossima manovra di bilancio uno spazio di manovra da 15 miliardi di euro. Dall'altro lato, la maggioranza di governo non sembra avere le idee chiare sui percorsi da seguire. Ed è così che l'annunciata riforma potrebbe seguire l'iter più tortuoso della legge delega, che richiede un passaggio parlamentare per l'approvazione del quadro regolamentare in cui poi dovrebbe muoversi autonomamente il ministero dell'Economia, il cui lavoro dovrebbe essere successivamente vagliato dalle Camere. Insomma, se tutto va bene, di nuovo fisco si parlerà nel 2022 o, più probabilmente, nel 2023 come tema di confronto per la campagna elettorale.
Nella manovra 2021, pertanto, dovrebbe trovare spazio solo la stabilizzazione del taglio del cuneo fiscale sui redditi medio-bassi (6 miliardi) con annessa conferma del bonus Renzi (10 miliardi). Dei progetti di modifica dell'Irpef con modello tedesco e di assegno unico per i figli con conseguente disboscamento della selva di detrazioni e deduzioni si occuperanno gli addetti ai lavori, ma dall'anno prossimo. Dovrebbero, invece, essere confermate la stabilizzazione del superbonus al 110% e gli incentivi per gli acquisti di auto. Sono due misure compatibili con il regime di aiuti europeo in quanto sostengono due settori produttivi importanti come l'edilizia e l'automotive.
Lo stallo politico sui contenuti della riforma dell'Irpef è legato agli effetti nefasti, ampiamente documentati da il Giornale, di un'eventuale revisione del sistema delle aliquote e dell'azzeramento delle detrazioni. L'idea di Gualtieri, infatti, consiste nell'applicazione del metodo tedesco, ossia un algoritmo che stabilisce l'aliquota in funzione del reddito lordo. Accompagnata a un sistema di assegni familiari variabile in funzione del reddito che assorbe le detrazioni per i figli a carico, tale sistema rischierebbe di aggravare ulteriormente la posizione di coloro che percepiscono tra i 40mila e i 55mila lordi annui, contribuenti sui quali grava una grande fetta dell'imposta. Nel mirino del governo, oltre ai sussidi ambientalmente dannosi (come quelli che tengono basse le accise sul diesel), erano inoltre finiti due sgravi particolarmente cari agli italiani: il regime forfettario per le partite Iva che percepiscono fino a 65mila euro lordi annui e la cedolare secca sugli affitti. Una simile azione, unita a un allargamento della base imponibile con sistemi di tracciamento anti-evasione (da cui si stima circa un miliardo all'anno), avrebbe generato un grande malcontento.
Anche perché, secondo quanto riferito da Repubblica, nelle ultime bozze di lavoro del ministero dell'Economia, sarebbe sparita la «clausola di salvaguardia» sull'assegno familiare unico, quella che avrebbe consentito di non perdere i seppur minimi vantaggi anche ai redditi medi. Alla fine, il rinvio è la decisione più saggia.
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