Il giallo di Alicante e la crisi con Parigi "Macron ostile per ragioni interne"

Meloni (influenzata) rinuncia al vertice spagnolo ma non cede alla Francia: abbiamo avuto bilaterali con tutti, solo con loro è un problema. Il timore che l'incontro con Scholz a Tirana abbia acceso la miccia

Il giallo di Alicante e la crisi con Parigi "Macron ostile per ragioni interne"

Prima di spazientirsi, Giorgia Meloni li ha elencati quasi tutti. Da Joe Biden a Xi Jinping, passando per il turco Recep Erdogan, l'indiano Narendra Modi, il canadese Justin Trudeau, l'indonesiano Joko Widodo, l'egiziano Abdel Fattah al-Sisi e pure il segretario delle Nazioni Unite, António Guterres. Con tutti loro, non è stato un problema organizzare un faccia a faccia. Un «bilaterale», per dirla secondo i codici della diplomazia, che - come è giusto che sia - attribuisce un peso diverso agli incontri tra capi di Stato e di governo a seconda non solo della durata ma anche dei dossier che i rispettivi staff mettono in agenda. E anche con il tedesco Olaf Scholz, durante il vertice Ue-Balcani occidentali che si è tenuto pochi giorni fa a Tirana, c'è stato un lungo confronto.

Nessun problema, insomma, a mettere in agenda incontri a margine del G20 di Bali, del vertice Cop27 sul clima a Sharm el-Sheikh o del summit in Albania. E anche con lo spagnolo Pedro Sanchez, per dire, non era stato un problema organizzare per ieri un bilaterale a margine del tavolo Eu Med di Alicante. Incontro che poi non si è tenuto, perché all'ultimo momento Meloni è stata costretta a restare a Roma da una brutta influenza. Al suo posto, in Spagna si è presentato il ministro degli Esteri, Antonio Tajani. Che, in qualità di vicepremier, ieri mattina ha anche presieduto un Consiglio dei ministri lampo a Palazzo Chigi.

Sull'assenza di Meloni ad Alicante, però, si è aperto un piccolo giallo. Le tensioni della vigilia tra Roma e Parigi hanno infatti lasciato uno fastidioso strascico, anche in considerazione del fatto che Macron ha declinato l'invito ad un bilaterale. Con Sanchez non c'è stato alcun problema d'agenda (e ieri mattina Meloni lo ha chiamato per scusarsi della forzata assenza), mentre con il presidente francese trovare un momento di contatto è sempre un problema. Come - d'altra parte - è stato complicatissimo organizzare tra i due una banale stretta di mano in quel di Roma lo scorso 23 ottobre, il giorno dopo che il governo aveva giurato al Quirinale. E al di là delle pregresse diffidenze, è stato proprio quel passaggio a compromettere ulteriormente i rapporti tra i due. Con l'entourage dell'Eliseo che, pur essendo ospite a Roma, ha preteso di gestire l'incontro sia sul fronte diplomatico che su quello della comunicazione. In nome del fatto che Macron ha il rango di capo di Stato, a differenza di Meloni che è solo capo di governo.

Palazzo Chigi smorza eventuali possibili polemiche, nonostante il braccio di ferro pubblico di giovedì scorso. Non solo dallo staff della premier, ma pure due ministri a lei vicinissimi, assicurano che l'influenza «non è un ceppo francese». Insomma, nessun pretesto. Però la tensione con Parigi resta. E, anzi, il dito continua ad essere puntato contro Macron. Che - questo è il ragionamento che Meloni ha fatto con chi ha avuto occasione di sentirla - cerca di «risolvere» i suoi problemi di politica interna dando addosso al governo italiano, «facile bersaglio perché guidato da una leader di destra». E, ancora, che non ha gradito il fatto che al vertice di Tirana di quattro giorni fa Meloni ha avuto un bilaterale con Scholz ma non ha chiesto di vedere Macron. Insomma, se i francesi veicolano che è l'Eliseo a non aver concesso un bilaterale all'Italia ad Alicante, da Palazzo Chigi la versione è diametralmente opposta.

Sarebbe Macron, infatti, a non aver gradito il «torto» di non aver ricevuto una richiesta di incontro a Tirana. Ragione per cui l'altro ieri l'Eliseo ha fatto filtrare che la Meloni «non ha affatto chiesto» un faccia a faccia con il presidente francese. Che, a questo punto, per Macron può essere solo a Parigi.

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