Il Copasir ha sconfessato il Corriere della Sera riguardo la lista di proscrizione dei "putiniani d'Italia" stilata dal principale quotidiano nostrano. A fornirla non sarebbero stati gli 007 come invece scritto nel pezzo firmato da Monica Guerzoni e Fiorenza Sarzanini.
Un fatto che merita di essere approfondito e che ha scatenato una feroce bagarre anche sulle emittenti tv, col direttore del Fatto Quotidiano Marco Travaglio che si è sentito chiamato indirettamente in causa visto che alcuni dei nomi indicizzati dal Corsera, come il prof. Alessandro Orsini, scrivono sul giornale di Travaglio (e dell'accademico a cui la Nato piace davvero poco pubblica anche il libro).
"Questa lista dei filoputiniani pubblicata dal Corriere è una cosa vergognosa. Una volta i giornali i dossieraggi li svelavano e li denunciavano, non facevano da buca delle lettere e da ventilatore per spargere lo sterco in giro per la rete e per le edicole", ha detto a "Dimartedì" (La7) in risposta a Beppe Severgnini che, invece, nelle vesti di avvocato della testata che lo ospita, ha rigettato nel modo più assoluto le accuse di gogna contro la testata di via Solferino.
E tuttavia, la gogna il Corsera ha provato a crearla, mettendo alla berlina professionisti, giornalisti, influencer che sarebbero così legati al Cremlino da "influenzare il dibattito nei Paesi occidentali con propaganda, disinformazione, fake news". Una fitta rete di personalità che, si legge ancora nel pezzo, "si attiva nei momenti chiave del conflitto, attaccando i politici schierati con Kiev e sostenendo quelli che portano avanti le tesi favorevoli alla Russia", e "tenta di orientare, o peggio boicottare, le scelte del governo".
Oltre a sembrare piuttosto inverosimile o quantomeno non provata una capacità penetrativa del genere, il grande fallo del Corriere è stato quello di essersi fatto scudo dietro al Copasir, il cui presidente Adolfo Urso (FdI) ha dovuto provvedere a smentire che i nomi pubblicati siano mai stati sottoposti all’attenzione dell’organo: "La lista - ha detto Urso - l’ho letta sul giornale, io non la conoscevo prima. Noi abbiamo attivato un’indagine alla fine della quale, ove lo ritenessimo, produrremo una specifica relazione al Parlamento".
Poi la parziale rettifica, con un documento che sarebbe in effetti arrivato sulla sua scrivania, ma solo ieri mattina e comunque dal contenuto classificato. Dunque, o il Corriere aveva a disposizione una lista secretata frutto di un'indagine svolta dal Copasir su personalità italiane che diffondono informazioni gradite alla Russia (e sarebbe grave solo pensarlo), oppure ha bluffato.
La semplice volontà di smascherare i "disinformatori" non può essere sufficiente per spiegare un metodo così poco etico. Anche perché, e lo ricordava anche Nicola Porro su questa testata, "se un giornalista, che dobbiamo ammettere non conosciamo, scrive sui suoi social: 'La Ue costretta a tornare sui suoi passi e pagare il gas in rubli', come riporta il Corrierone, può forse dire una sciocchezza (peraltro non superiore a chi dichiarava che non avremmo mai pagato neanche indirettamente il gas in rubli), ma non per questo deve essere una spia al soldo di Putin".
La guerra in Ucraina è caratterizzata come mai prima da gigantesche campagne di propaganda e disinformazione. Reciproche. Il ruolo dei media liberi, soprattutto se di Paesi non implicati direttamente nel conflitto, dovrebbe essere quello di aiutare le persone a smascherare la propaganda, a distinguere le notizie vere da quelle false e ad indirizzarli per poterle contestualizzare. A prescindere dalla narrazione che l'una o l'altra notizia possano rischiare di sostenere.
Perché il rischio di tacciare per disinformatore al soldo di Putin chiunque possa anche solo vagamente rappresentare una voce di dissenso, oltre che infangare la reputazione di costoro, è quello di produrre un effetto ben più pericoloso della propaganda: l'ininformazione.
Ossia creare un circolo pericoloso per cui qualsiasi notizia, anche vera, diffusa da qualche canale "demonizzato", possa essere considerata in automatico fake.
L'Occidente non può sostenere le proprie ragioni, e quelle del popolo ucraino, basandole sulla superiorità morale e sulle caratteristiche liberali che lo differenziano dalla Russia, utilizzando metodi del genere e introducendo la "presunzione di verità", con dei media che rivendicano per sé e solo per sé la capacità di diffondere notizie vere fino a prova contraria e allo stesso tempo demonizzano o silenziano chiunque possa rischiare di fornirla, una prova contraria.
Anche perché si tratta di un meccanismo applicabile a moltissimi argomenti e non solo alla guerra.
Il grande equivoco in cui si sta inciampando in questo Paese è quello di pensare che dipingendo un quadro più chiaro, completo e indipendente possibile della situazione si possa fomentare un pensiero antiatlantista, antieuropeo e filorusso. Invece è tutto l'opposto: la censura e la demonizzazione creano le fascinazioni. La verità, anche se a volte fa male, no.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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