L'Oceano Pacifico sta accogliendo, dalle 13 di ieri mattina (le sei in Italia) le prime acque decontaminate, contenute nelle cisterne della centrale nucleare di Fukushima in Giappone, in fase di smantellamento. In media saranno buttati a mare circa 458 mila litri ogni giorno. Nel primo ciclo di 17 giorni si smaltiranno 7.800 tonnellate di acqua trattata. Entro la fine di marzo 2024 ne verranno rilasciate altre 31.200, svuotando così circa 30 serbatoi del sito. Che ora è pieno al 98 per cento.
Sarà un processo lungo, che durerà fino al 2050, visto che Tokyo prevede di scaricare molto gradualmente nell'Oceano Pacifico più di 1,3 milioni di tonnellate di acqua dell'impianto di Fukushima Daiichi provenienti da acque piovane, sotterranee e da iniezioni necessarie per raffreddare i noccioli dei reattori andati in fusione dopo lo tsunami che devastò la costa nord-orientale del Paese nel marzo 2011, provocando la morte di oltre 20mila persone. Ora tutte queste acque contaminate raccolte nel corso degli anni andranno disperse dopo essere preventivamente trattate per liberarle dalle sostanze radioattive, ad eccezione però del trizio, per cui servirebbero 100 anni di stoccaggio per il suo decadimento. Una complicazione che gli esperti è superabile visto che solo dosi altamente concentrate di trizio sono dannose per la salute.
Però, nonostante le rassicurazioni di enti internazionali e scienziati, la scelta di «inquinare» il mare di tutti non è piacevole. E il primo ministro giapponese Fumio Kishida si è attirato proteste di ambientalisti di mezzo mondo. ma non solo. La Cina ha già esortato il Giappone a «correggere la decisione sbagliata, ad annullare il piano di scarico dell'acqua contaminata dal nucleare». Inoltre ha vietato l'importazione di prodotti alimentari da dieci dipartimenti giapponesi, compreso quello di Fukushima mentre Hong Kong ha annunciato che attiverà «immediatamente» limitazioni sulle importazioni di alcuni cibi dal Giappone.
Ma la protesta monta anche all'interno del paese. L'ultimo sondaggio condotto dalla agenzia Kyodo, ha rivelato che l'88,1% del campione di giapponesi intervistato è preoccupato per il danno economico derivante dal riversamento dell'acqua nell'oceano. Una scelta che non convince, insomma quasi nove cittadini su dieci.
Non fa sconti al governo Greenpeace Japan perché ritiene che i rischi radiologici non siano stati completamente valutati, e che gli impatti biologici del trizio, del carbonio-14, dello stronzio-90 e dell'iodio-129 che verranno rilasciati con l'acqua «sono stati ignorati». Poi c'è la protesta della comunità ittica locale a cui non sono bastate le rassicurazioni e le iniezioni di yen (circa mezzo miliardo di euro) a sostegno dell'attività. Residenti e pescatori locali hanno annunciato una causa presso il tribunale del distretto di Fukushima l'8 settembre contro il gestore della centrale, Tepco, in cui si chiederà anche il ritiro del governo dal piano.
Tepco assicura però che la portata dell'acqua scaricata sarà molto diluita per ridurre il livello di radioattività dell'acqua ben al di sotto degli standard nazionali e i livelli di trizio nell'acqua saranno al di sotto di quelli considerati sicuri per il consumo secondo gli standard dell'Organizzazione mondiale della sanità (Oms).
Anche l'Agenzia internazionale per l'energia atomica (Aiea) sostiene che il piano del Giappone è «coerente» con gli standard di sicurezza internazionale e assicura che avrà «un impatto radiologico trascurabile sulle persone e l'ambiente». Gli scienziati comunque manterranno un occhio vigile sull'intera operazione per monitorare in tempo reale la situazione e i dati che saranno condivisi con la comunità globale. E pure Alessandro Dodaro, direttore del Dipartimento Fusione e Tecnologie per la Sicurezza Nucleare dell'Enea, tranquillizza: «Il quantitativo di materiale radioattivo è a livelli tali che non avrà alcun impatto sull'ambiente. Non ci sono rischi, i livelli di radioattività sono molto bassi».
Inoltre la dispersione di materiali con un certo contenuto di radioattività non sono una novità: «Ogni pratica che prevede l'uso di sorgenti radioattive, anche un semplice laboratorio per analisi radiologiche, ha nell'autorizzazione una formula di scarico» ha aggiunto l'esperto dell'Enea.
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