Quando i medici hanno annunciato la «morte cerebrale» della figlia Antonella, loro non hanno avuto dubbi: «Se non si risveglierà, autorizziamo la donazione dei suoi organi».
Antonella ha appena 10 anni e fino a un giorno fa i suoi genitori potevano abbracciarla piangendo di gioia. Una famiglia felice. Ieri, quegli stessi genitori, l'hanno forse abbracciata per l'ultima volta, piangendo di dolore. Una famiglia distrutta.
Colpa di un «gioco» assurdo: una sfida mortale che si chiama «Blackout challenge», che consiste nello stringersi una cintura alla gola e resistere il più possibile. Il tutto in diretta su TikTok, il social «giovane» dove tutto avviene, compreso ciò che non dovrebbe avvenire mai. Antonella è stata risucchiata, suo malgrado, in un gorgo di cui non poteva sapere, né immaginare, la voracità. E - per carità - che nessuno si azzardi ora a dare la colpa ad Antonella, o a scaricare la responsabilità sui suoi poveri genitori accusandoli di «non aver sorvegliata abbastanza».
La verità è che certi drammi non hanno spiegazione, semplicemente perché sono inspiegabili. Se su questi stramaledetti sociali circola roba immonda come «Blackout challenge» (e mille altre schifezze simili) è inutile fare i sapientoni e puntare il dito contro una bimba di 10 anni o mamma e papà. Prendiamo atto che viviamo in una società (virtuale e non) piena di spazzatura, e chiudiamola qui. Sperando che la prossima vittima innocente dell'ennesima «prova estrema» non sia nostro figlio. Ogni altro tipo di approccio al problema sarebbe pura demagogia o sterile esercizio moralistico; infatti la rete ha assunto ormai una dimensione mostruosamente incontrollabile che ogni giorno esige sacrifici umani, come se vivessimo in un'era preistoricamente tecnocratica. Antonella in questa primitiva giungla digitalizzata si è persa diventando, inconsapevolmente, il simbolo una società alle prese con un'illusione di progresso che in sé cela solo il germe della regressione primitiva. All'ospedale di Palermo, la città della famiglia di Antonella, regna un silenzio che è al tempo stesso rispetto e solidarietà. Del resto ogni parola sarebbe superflua. Cosa vuoi dire dinanzi a una bambina rimasta soffocata su TikTok? Un nome che richiama alla mente la porta chiusa della stanza dei figli adolescenti, dove i genitori bussano invano. Non ricevendo risposta. E noi rimaniamo fuori. Estranei. Lontani. Non solo fisicamente.
Per i ragazzi meglio la compagnia di TikTok, il social degli adolescenti vogliosi di condivisione in un tempo dove il Covid ne ha ulteriormente «distanziato» i corpi. Così la morte può giungere «in presenza» partendo «da remoto». Con un semplice clic beffardamente cliccato sulla funzione «live». Il cuore di Antonella, chiusa nel bagno di casa, si è fermato mentre nella mano impugnava il cellulare con cui stava gareggiando in una sfida («a chi resisteva di più senza respirare») ideata da chissà quale mente perversa. Quando sono arrivati i soccorsi («con grave ritardo», denunciano i parenti) ormai era passato troppo tempo. La Procura dei minori ha sequestrato il cellulare della bambina aperto un fascicolo per «istigazione al suicidio» contro ignoti. Ignoti, appunto.
TikTok è un social network lanciato nel settembre 2016, inizialmente col nome musical.ly: attraverso l'app gli utenti possono creare brevi clip, aggiungere filtri ed effetti particolari ai loro video. Ad agosto 2020, TikTok ha superato 1 miliardo di utenti in tutto il mondo.
Tra loro anche Antonella, prima di imbattersi nell'invito a partecipare al «Blackout challenge». Un cortocircuito che le ha spento l'esistenza. Facendo per sempre sprofondare nel buio pure i suoi cari. Per tutti riaccendere la luce sarà impossibile.
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