«Conte non arriva a fine legislatura, c'è un'altra maggioranza già pronta e lo sanno tutti». Nelle ore in cui si spegnevano le ultime speranze di veder nascere il Conte Ter, tra i parlamentari grillini si richiamavano con preoccupazione queste parole, frutto di un colloquio informale di Antonio Polito con Giancarlo Giorgetti pubblicato dal Corriere della Sera il 16 dicembre, cioè in un momento in cui. sono in pochi a scommettere che il leader di Italia viva possa andare oltre la richiesta di un rimpasto. A tener buoni i pentastellati ci sono anche le analisi del Fatto quotidiano, secondo cui Draghi non accetterebbe mai un ruolo da presidente del consiglio e Renzi è solo un bullo fanfarone.
Con il senno di poi, le parole di Giorgetti assumono l'aura di una profezia, o quantomeno una previsione molto ben informata. Il numero due della Lega non ha mai nascosto i buoni rapporti con l'ex governatore della Bce e in settembre è Augusto Minzolini sul Giornale a raccontare di un faccia a faccia tra Giorgetti e l'economista del «whatever it takes». Ma nello scorso dicembre il leghista bocconiano va ben oltre gli auspici e pronuncia un dettagliato vaticinio. Colpisce soprattutto la sua lettura del comportamento di Matteo Renzi: «Tre mesi fa ho detto a Salvini; guarda che tu devi sperare che vinca Biden -, spiega Giorgetti. -E sai perché? Perché Renzi è suo amico, o almeno crede di esserlo, e con lui alla Casa Bianca si sentirà più forte, penserà di avere l'arma nucleare, e magari sarà disposto a forzare la mano e a rischiare». Giorgetti sarcastico fa notare anche che Renzi ha «postato una sua foto con il nuovo Mr. President, come a dire: in Italia mi sottovalutate, ma io ho amici potenti». Renzi, in effetti, sui tavoli della crisi ha spesso insistito su temi sensibili per Washington e ai suoi avrebbe fatto notare che Conte ha mollato la presa sui Servizi 24 ore dopo l'insediamento di Biden.
Agli occhi dei pentastellati più complottisti, è la prova che i giochi erano già decisi, pilotati dai «poteri forti». Più semplicemente, pare il segno che dietro alle rassicurazioni di facciata, la fragilità della coalizione era evidente da tempo. E che le massime istituzioni italiane e internazionali vigilavano preoccupate e vagliavano le alternative a disposizione.
Di certo è la conferma che Giorgetti, all'interno della Lega, è il più attento alle dinamiche internazionali. Non è un segreto che su Conte, agli occhi dell'amministrazione democratica, pesasse l'endorsement di Donald Trump, quel «Giuseppi for president» sparato via Twitter in uno dei momenti più delicati per i destini dell'ormai ex presidente del consiglio. Ma, soprattutto, a Washington non si dimentica che Conte è il premier che ha portato un alleato storico come l'Italia nel perimetro della cinese Via della Seta. Criticità che Giorgetti, in buoni rapporti con l'ambasciatore italiano a Washington Armando Varricchio, ben conosce.
La chance di un governo Draghi rappresenta per i nostri alleati tradizionali, la possibilità di frenare la deriva populista e filocinese dell'Italia, cercando allo
stesso tempo di cogliere il treno del Recovery plan. L'ultima corsa utile per farci uscire dal ruolo di economia «malata» che ci accompagna da troppo tempo. E che mina la stabilità dei mercati dei rapporti internazionali.
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