Giorgia passa alla fase del decisionismo

Nel nostro ordinamento il presidente del Consiglio presiede, appunto, il Consiglio. Non è un primo ministro alla francese, non è un Presidente del Governo alla spagnola, non è un Cancelliere alla tedesca, non è un premier alla inglese.Non è insomma, capo del governo: è un primus inter pares

Giorgia passa alla fase del decisionismo
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Nel nostro ordinamento il presidente del Consiglio presiede, appunto, il Consiglio. Non è un primo ministro alla francese, non è un Presidente del Governo alla spagnola, non è un Cancelliere alla tedesca, non è un premier alla inglese. Non è insomma, capo del governo: è un primus inter pares. Non è, soprattutto, eletto dal «popolo» ma dal Parlamento e fino all'inizio degli anni Sessanta neppure disponeva di una sede: Palazzo Chigi lo è dal 1961, prima doveva dividere i locali con il Viminale. A cominciare però dagli anni Ottanta, con Craxi, il presidente del Consiglio ha cominciato ad agire sempre più come se fosse un primo ministro o un premier; tendenza accentuatasi nella cosiddetta Seconda Repubblica, con Berlusconi, ma anche con Renzi. Ai tempi di Craxi lo si chiamò «decisionismo», un termine improprio, desunto dalla dottrina giuridica di Carl Schmitt, che voleva però, con questo, dire altro. Ecco, al lettore, se ci ha seguito nella lunga premessa, vorremmo far notare che, con l'intervista di ieri ad alcuni quotidiani, Meloni è entrata nella fase «decisionista». Lo si vede nei passaggi in cui si intesta la totale responsabilità nella controversa patrimoniale sui cosiddetti extraprofitti delle banche, che all'inizio sembrava essere più opera di Salvini. Soprattutto, il decisionismo sta nel rivendicare che solo un nucleo ristretto di ministri fosse a conoscenza, prima del Consiglio, della misura: tra i quali era escluso il Ministro degli Esteri, Antonio Tajani, che però è a capo del terzo partito della coalizione. Per molto meno, ai tempi della prima repubblica, cadevano i governi. Altri tempi: anche se, però, il problema rimane sempre quello che tracciavamo all'inizio, cioè che il presidente del Consiglio italiano non possiede i poteri per decidere davvero. Il premier inglese è, tranne rarissimi casi, a capo di un esecutivo di un solo partito, di cui egli è il leader - ciò che non ha impedito, anche in tempi recenti, allo stesso suo partito di disarcionarlo da Downing Street. Il primo ministro francese è invece un'emanazione dell'Eliseo: chi volesse, nella maggioranza, opporvisi, è come se si opponesse al Presidente. In tutti gli altri casi, quando si tratta di un governo di coalizione, il decisionismo del premier è sempre delimitato, poiché tutti i partiti sono indispensabili, altrimenti l'esecutivo non avrebbe la fiducia; ed è ancora più marginale se, come nel nostro ordinamento, il presidente del Consiglio è privo del potere, fondamentale, di scioglimento delle Camere, di cui invece dispongono il Premier inglese e il Presidente del Governo spagnolo. Insomma, come nei casi passati di Craxi, Berlusconi e Renzi, il decisionismo rischia di essere più un effetto comunicativo che un potere reale.

Con un danno, oltre la beffa: poiché viviamo nell'epoca della comunicazione, tutti penseranno che decida solo Meloni (anche se non è così). Un'ottima risorsa finché il vento soffia nelle vele, ma che si rivolge contro al «capo» quando comincia a salire la bonaccia.

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