«Ho sentito il fruscio, il sibilo del proiettile che mi ha preso di striscio alla spalla e temo abbia colpito subito dopo Bogdan. Era a un metro di distanza o poco più e l'ho visto stramazzare a terra». Il drammatico racconto al Giornale di Corrado Zunino arriva ad intermittenza per la linea che va e viene mentre lo stanno portando in ambulanza ad Odessa. Bogdan Bitik, 46 anni, «non era solo il mio fixer, ma un grande amico dopo cinque missioni assieme in Ucraina. Non so neanche se hanno recuperato il corpo. Per me è un dolore infinito», racconta l'inviato di Repubblica. E ancora di più per la madre dell'accompagnatore ucraino ucciso, che vive a Kiev, oltre alla moglie e al figlio rimasti in Indonesia.
Il giornalista e il suo fixer, fondamentale in zona di guerra, sono finiti sotto il tiro dei cecchini russi appostati dall'altra parte del ponte Antonivsky, spezzato in due dopo la ritirata dello scorso anno sul lato sinistro del fiume. «Abbiamo deciso di raggiungere Kherson dopo le notizie che parlavano di una testa di ponte ucraina oltre il fiume», spiega Zunino, che sta bene, a parte il dolore alla spalla e altre ammaccature più lievi. In realtà gli ucraini non sono avanzati oltre il Dnipro, ma infiltrano corpi speciali per missioni di ricognizione mordi e fuggi. «Siamo arrivati al ponte con tutti i permessi necessari - sottolinea l'inviato -. Abbiamo passato tre posti di blocco e nessuno ci ha fermato. Kherson sembrava tranquilla, a parte tre colpi di artiglieria in lontananza sul lato del fiume occupato dai russi». La macchina l'hanno lasciata più indietro proseguendo a piedi. All'inizio del ponte maledetto «sono saltati fuori dei militari ucraini dalle loro postazioni. Erano una ventina di metri più avanti e hanno urlato andate via, andate via. Indossavo il giubbotto antiproiettile con la scritta Press in evidenza. Ho girato i tacchi senza discutere, ma subito dopo arriva il primo fruscio e il forte bruciore alla spalla. Bogdan è stato colpito in pieno, al petto, penso dal proiettile che mi ha sfiorato». Dalla piastra anteriore di protezione di Zunino sarebbe stato tirato fuori un proiettile. Da Kiev trapela che il fixer non avrebbe indossato il giubbotto antiproiettile, che forse poteva salvargli la vita. All'inizio lo stesso Zunino, sotto choc, aveva parlato di un drone. Non si può escludere che proprio un piccolo drone di ricognizione possa avere «visto» i due civili all'inizio del ponte. I russi poi avrebbero attivato i cecchini annidati a qualche centinaio di metri, che hanno aperto il fuoco.
«Dopo il primo colpo mi sono messo a correre e ho sentito un secondo sibilo - racconta Zunino -, uno sbuffo di terra si è alzato vicino a me». Il punto d'impatto di un proiettile. «Guardavo con la coda dell'occhio se Bogdan si fosse rialzato per scappare, ma era sempre immobile - spiega il giornalista di Repubblica - Sono anche scivolato cadendo a terra». L'inviato si è giustamente tirato fuori dalla linea di tiro e «poi ho fermato una macchina di civili che vedendomi insanguinato mi hanno portato all'ospedale di Kherson». Il corpo di Bogdan è rimasto sul ponte, ma gli ucraini cercavano di recuperarlo evitando i cecchini. A metà pomeriggio l'inviato di Repubblica viene caricato su un'ambulanza diretta ad Odessa e potrebbe venire evacuato con un elicottero verso Kiev. L'ambasciata italiana e l'Unità di crisi della Farnesina sono attivate per organizzare un veloce rimpatrio del ferito. Il ministro della Difesa, Guido Crosetto, ha confermato l'«agguato dei cecchini russi». Zunino, 58 anni, viene dalla gavetta dei quotidiani di Genova e annovera una lunga carriera a Repubblica dove si è occupato di sport e inchieste.
Dallo scorso anno ha iniziato l'esperienza del giornalismo di guerra con l'invasione dell'Ucraina. Su twitter ha scritto: «Sto bene, ho una ferita alla spalla destra, sfiorata dal proiettile che ha centrato il mio grande amico Bogdan. Credo sia morto, all'inizio del ponte di Kherson. Un dolore infinito».
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